Da qualche anno si è affacciata anche in Italia la “scommessa” dei licei quadriennali.
Dopo il successo del primo ciclo di sperimentazione, e all’inizio di un nuovo e più ampio ciclo, LineaTempo, in quanto rivista da sempre attenta allo sviluppo della dimensione umanistica nella cultura e nella scuola italiana, ha deciso di dedicare al tema un variegato dossier, nell’ambito del suo ultimo numero, intitolato Licei quadriennali: una scommessa fondata?
Lo scenario entro il quale si sta svolgendo questa innovazione di sistema è al momento affidato all’autonomia dei singoli istituti o scuole, all’interno di una cornice normativa nazionale in evoluzione; perciò la prima caratteristica che nota chi vuole accostarsi a questa sperimentazione per saggiarne le reali potenzialità innovative è la grande varietà di progettazioni e le notevoli diversità di realizzazione didattico-gestionali.
L’impossibilità di svolgere una ricerca sistematica e complessiva sul “modello quadriennale” ha però favorito una originale modalità di verifica di questo spettro pluriforme di progetti: al centro del dossier sta infatti l’incontro con le persone, sia dirigenti scolastici, sia docenti, sia pedagogisti, che si sono impegnati in questi anni a progettare e ad organizzare (e a monitorare scientificamente) i percorsi quadriennali, e a cui è stato chiesto di testimoniare il senso e le prospettive che aprono i percorsi compiuti, senza nascondere anche gli eventuali limiti e difficoltà dell’innovazione.
Un’altra caratteristica di questa ricognizione sul campo, di quanto sta accadendo nelle scuole investite da questo soffio rinnovatore, è stata quella di puntare soprattutto a ricercare la prospettiva culturale-educativa di questi progetti.
Il taglio degli interventi è stato quindi quello del “sapere riflessivo” (Schön); mostrando l’esperienza vissuta ed insieme le certezze e/o consapevolezze acquisite, per permettere a tutti di condividere una riflessione non astratta sugli esiti pedagogico-educativi dei percorsi sviluppati.
È così che ad un primo articolo, dedicato allo scenario in cui si inserisce la sperimentazione, ricostruito con ampi riferimenti storico-istituzionali, fanno seguito una serie di interventi che documentano i differenti percorsi di quattro scuole, alcune paritarie, altre statali, individuate per offrire un saggio della grande varietà di esperienze incontrate (non ci sono infatti solo licei quadriennali, ma anche, ad esempio, tecnici-economici).
L’attenzione alla dimensione educativo-pedagogica è poi sviluppata attraverso una serie di interventi, affidati a docenti esperti (di scuole italiane e anche di scuole italiane all’estero, dove da più tempo il quadriennale è in funzione) che approfondiscono alcune delle problematiche formative più diffuse (e più importanti per chi ha a cuore una visione della scuola come luogo di educazione oltre che di istruzione):
– in primo luogo la sentita preoccupazione culturale che i quadriennali “riducano” quello sguardo onnicomprensivo sulla nostra tradizione culturale che è la caratteristica della scuola italiana, e in particolare che venga depauperata la formazione umanistica;
– e poi la grande preoccupazione educativa; la maturazione critica di un adolescente richiede tempi e spazi adeguati, il modello quadriennale riuscirà a garantirlo?
Tra i molteplici spunti di riflessione che il dossier permette, ci preme qui rimarcare il fatto che da tutti gli interventi emerge che alla base di queste sperimentazione c’è un sincero impegno a rispondere alla drammatica emergenza educativa che stiamo vivendo, e la consapevolezza che se la scuola italiana non opererà una “grande trasformazione” resterà quella scuola “colabrodo” che conosciamo, che perde da tutte le parti, perché il suo modello organizzativo, pensato per una società omogenea, non è più capace di rispondere ai bisogni della popolazione attuale, così fortemente differenziata e inserita in un contesto socio-culturale profondamente diverso da quello della seconda metà del Novecento, in cui una risposta standardizzata è inutile, anzi dannosa (visti i dati sulla dispersione esplicita ed implicita).
Oggi a chi sta sperimentando i percorsi quadriennali pare che l’unico modo per farli funzionare e rispondere creativamente alla complessità della domanda educativa sia l’autentico sviluppo dell’autonomia scolastica.
È quanto emerge anche dalla modalità di costruzione dei nuovi percorsi, che richiedono un coinvolgimento “attivo” dei docenti.
Questo fatto aiuta a rispondere ad un’altra delle perplessità più diffuse sul piano social-sindacale rispetto all’innovazione quadriennale, e cioè il timore della riduzione dell’organico dei docenti; proprio la necessità di attivare nuove funzioni e nuove forme di professionalità docente evidenzia invece, come testimoniano tutte le esperienze documentate, che tale riduzione non avviene, anzi si innesta tra i docenti un nuovo modello responsabilizzante-comunitario.
Si comprende così come nel suo intervento Pasolini giunga a proporre di condurre con gradualità tutto il sistema di scuola superiore ad una organizzazione quadriennale, se si vuole “portare consistenti miglioramenti all’efficienza del sistema, alla professionalità di docenti e dirigenti nonché ai livelli di apprendimento dei nostri studenti”.
Investire nei quadriennali può essere la carta vincente per la grande trasformazione della scuola italiana?
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