Paese strano la Svizzera, ma proprio la sua non uniformità, che è la “stranezza” per chi la guarda da un Paese ipercentralista come l’Italia, è ciò che la rende affascinante: il federalismo, il principio di territorialità, le molte lingue e i molti dialetti, la valorizzazione delle culture tradizionali, la compresenza di più confessioni religiose, la burocrazia efficiente, la cura per l’ambiente e per il paesaggio, e molto altro. Piccolo è bello, ma, soprattutto, è più facile sentire come proprio lo “Stato” quando esso coincide con il luogo dove si vive e non con un’entità burocratica astratta e lontana.
La Confederazione Elvetica, come la conosciamo oggi, nasce, di fatto, dalla guerra del “Sonderbund”, la guerra di secessione svizzera, scoppiata e conclusa nel 1848 tra i cantoni protestanti e liberali del nord (cui si aggiunse il governo del Ticino, si dice per simpatie massoniche) e i cantoni cattolici dell’Interno, quelli che avevano dato origine alla Svizzera primitiva del 1291. Vinsero i cantoni protestanti e ne ebbe origine la costituzione contemporanea (pur con i cambiamenti introdotti successivamente) che, in ogni caso, riconosce un’ampia autonomia ai singoli cantoni, incluse le competenze in materia scolastica. I cantoni sono stati autonomi federati, che hanno rinunciato a una parte della loro sovranità in favore della Confederazione.
Attualmente, in Svizzera, l’istruzione obbligatoria dura undici anni, deve essere accessibile a tutti e nelle scuole pubbliche (cioè comunali e cantonali) è gratuita. Responsabili dell’organizzazione della scuola dell’obbligo sono i cantoni: ciò significa che si contano 26 diversi sistemi scolastici e 26 normative diverse, incluso quelle che regolano i rapporti con le scuole private, tra le quali, oltre a quelle confessionali, quelle internazionali, ben note per il loro prestigio. In pratica, l’equivalente del Miur romano non c’è e la parola d’ordine anche su questo terreno è anzitutto “autonomia”. Certo, da molti anni esiste una “maturità federale” che conclude i percorsi liceali, ma si tratta di una prova d’esame con criteri comuni, in realtà non necessariamente e del tutto obbligatoria.
Una novità è stata introdotta nel 2009 con l’“Accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria”. Fino a non molto tempo fa persino l’inizio dell’anno scolastico tra un cantone e l’altro poteva avere uno scostamento anche di parecchi mesi, con i problemi che possiamo facilmente immaginare per le famiglie che cambiavano residenza. Si tratta, tuttavia, di coordinamento, non di un sistema verticistico calato da un centro iperburocratico e statalista, come è l’attuale ministero dell’Istruzione in Italia (di cui può cambiare il nome, con l’aggiunta del “merito”, ma non la sostanza).
Se proprio vogliamo cercare delle linee comuni nei diversi sistemi elvetici, i livelli del percorso di istruzione nella Confederazione sono sostanzialmente tre: primario, secondario e terziario. La scuola dell’obbligo comprende il livello primario e la parte iniziale del secondario. Fondamentale è però la presenza di due approcci educativi e formativi differenti: uno chiaramente scolastico, quindi paragonabile ai licei italiani, inclusi i percorsi tecnico-commerciali, e uno tecnico-professionale.
Al percorso “liceale” si accede solo in presenza di buoni risultati scolastici nella scuola dell’obbligo. Il percorso professionale, però, non è percepito come un “di meno”, ma è a tutti gli effetti un’introduzione al mondo del lavoro, che fa curriculum e garantisce ottimi stipendi. Quest’ultimo, spesso denominato “apprendistato”, è strutturato secondo il sistema duale, ovvero sulla frequenza di corsi formativi simultaneamente all’attività in un’azienda formatrice. Anche per la formazione professionale è possibile un livello superiore, che si può frequentare presso le scuole universitarie professionali, i politecnici federali e altre istituzioni formative.
Parimenti, anche per i percorsi professionali sono generalmente possibili delle “passerelle” che consentono l’accesso ai percorsi di livello superiore universitario e, quasi ovviamente, con metodologie differenziate a seconda dei cantoni o, in ogni caso, come autodidatti. Difatti, la cosiddetta “passerella” è un esame complementare per ottenere la maturità professionale, posta sotto il controllo della Commissione Svizzera di Maturità (Csm), da sostenere nell’ambito delle sessioni ordinarie della maturità federale svizzera, nelle rispettive regioni linguistiche. Il sistema scolastico svizzero è fluido, per cui i cambiamenti possono essere rapidi e decisi a livello locale.
Per esempio, la frazione di Maloja, nel comune di Bregaglia – valle italofona del canton Grigioni – nel 2005 ha introdotto l’insegnamento bilingue, italiano-tedesco, nella propria scuola elementare, in totale autonomia. Il confinante comune di Sils/Segl è bilingue, tedesco e romancio. Ma il bi- o tri-linguismo è presente anche in molti altri comuni e città, per esempio a Friborgo. D’altra parte, le Alpi sono sempre state luogo d’incontro di comunità diverse e l’idea e la forma dello Stato moderno mal si adattano a un simile contesto geoculturale. Poi, non tutto è oro quello che luccica e proprio la questione delle lingue sta da qualche anno segnando pesantemente non solo la convivenza civile, ma anche il mondo della scuola.
Qualche anno fa, alcune scuole del canton Zurigo hanno tolto il francese, prima obbligatorio, sostituendolo con l’inglese, Losanna e Ginevra hanno subito fatto la stessa cosa col tedesco. Il risultato è che ormai la seconda lingua insegnata è quasi sempre l’inglese, con il paradosso di cittadini svizzeri che tra loro colloquiano in questa lingua e non in una delle tre lingue federali. Le lingue nazionali – tutelate dalla costituzione – sono quattro: tedesca, francese, italiana e reto-romancia. Tuttavia, mentre il numero di parlanti tedesco, italiano e reto-romancio è in calo, il francese e altre lingue non nazionali stanno crescendo. Tra di esse, ovviamente, al primo posto l’inglese (non solo come seconda lingua) e, sorpresa, il portoghese.
L’insegnamento delle lingue resta peraltro uno dei punti di forza del sistema scolastico elvetico, tanto che nella Confederazione il 75% delle scuole è bilingue (con il sistema della full immersion) e, trattandosi di Svizzera, il bilinguismo è reale.
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