L’intervento della premier Giorgia Meloni a favore di un Liceo del “made in Italy”, diversamente da altri suoi ben più ponderati, pare essere il frutto di uno slancio propagandistico. Si consideri, infatti, che un tale liceo dovrebbe occuparsi di questioni economiche e in particolare di marketing, ponendo l’accento sulla produzione nazionale. Nel nostro Paese, tuttavia, già esiste un indirizzo tecnico dedicato a quei temi, che è quello di “Amministrazione, finanza e marketing”, erede dell’importante tradizione degli istituti commerciali, noti comunemente con la denominazione di “Ragioneria”.
Esso è stato creato con la cosiddetta Riforma Gelmini che, con una serie di atti normativi emanati tra il 2008 e il 2010, ha modificato la struttura del nostro sistema scolastico. C’è, inoltre, un’articolazione di quell’indirizzo che si occupa specificamente di “Relazioni internazionali per il marketing” ed esiste anche il Liceo delle scienze umane che dispone di un’opzione a carattere economico-sociale.
A prima vista, dunque, parrebbe che il settore del “made in Italy”, seppur con nomi e tipi di scuola diversi, sia già adeguatamente presidiato. Ricordo ad esempio che, in un istituto di cui sono stato preside alcuni anni fa, l’articolazione sopra indicata, per volontà del collegio dei docenti, aveva assunto proprio il nome di “Relazioni internazionali per il marketing del made in Italy”, definendo quella specifica identità evocata dalla premier.
Di che consenso godono questi tipi di scuola già esistenti? Be’, stando ai recenti dati sulle iscrizioni per il prossimo anno scolastico, decisamente non vanno male. Come è noto, la maggior parte degli alunni di terza media sceglie i licei (57,1%), ma sono salite, seppur lievemente, le iscrizioni degli istituti tecnici (dal 30,7% al 30,9%) e tra questi ultimi, è asceso l’indirizzo di “Amministrazione, finanza e marketing” (dal 10,3% all’11,5%), nel contesto più generale del settore economico, anch’esso sospinto da un vento favorevole. Pure l’indirizzo liceale delle scienze umane è in crescita (dal 10,3% all’11,2%) ed è presumibile, ancorché il sottoscritto non disponga di dati specifici, che una parte di questo successo si riverberi anche nell’opzione economico-sociale. In conclusione, in base alle iscrizioni, gli studi in ambito economico già riscuotono di un certo consenso.
Tuttavia, si può supporre che la premier Meloni abbia lanciato la proposta di un liceo sul “made in Italy” perché è consapevole che lo stato dell’arte della scuola italiana non sia dei migliori, stando ai test Invalsi, che cioè il funzionamento generale delle scuole e quello degli istituti tecnici in particolare registrino alcune importanti défaillances (con le dovute eccezioni). Se queste fossero le sue considerazioni, ella non avrebbe torto, ma l’efficacia delle scuole generalmente ha a che fare con la qualità dell’organizzazione scolastica e con la capacità dell’intera comunità di perseguire proprie specifiche scelte. Ormai una vasta letteratura dimostra che più le scuole sono autonome, migliore è la qualità dell’insegnamento.
In conclusione, forse non si ha una impellente necessità di creare un nuovo tipo di liceo destinato al “made in Italy”, quanto di far funzionare meglio le scuole, consentendo alle stesse di approfondire gli ambiti loro affidati per l’apprendimento scolastico. In questi termini, occorre ripensare la governance delle scuole, che risale ai decreti delegati del 1974.
Da questo punto di vista, più che un nuovo indirizzo liceale, servirebbe una riforma che puntasse a potenziare l’efficacia del sistema scolastico italiano. Una riforma che garantisca la qualità del corpo docente, affidando alle scuole stesse la selezione degli insegnanti. Purtroppo, per andare in tale direzione occorre molto coraggio, dacché si tratta di sfidare i sindacati che hanno fatto dello statu quo la propria ragione di esistere.
Suggerirei alla premier di riformare gli organi di governo delle scuole, riconoscendo un primato ai consigli di istituto, dove esiste una rappresentanza più vasta di stakeholder, che comprende in particolare i genitori. Le consiglierei, inoltre, di affrontare il tema della carriera dei docenti, premiando coloro che, nella scuola, si impegnano quotidianamente con dedizione. Eviterei, infine, di lanciare proposte che paiono andare nella direzione di una scuola identitaria. La difesa della scuola italiana, nel mondo globalizzato, non passa attraverso la definizione di una tipologia educativa nazionale, ma nella logica qualitativa del confronto internazionale. La scuola italiana necessita di qualità, più che di alcune innovazioni ordinamentali.
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