Di fronte a una platea molto attenta, il Liceo scientifico Romano Bruni di Padova ha presentato nei giorni scorsi il progetto di una seconda classe sperimentale di liceo quadriennale. Una possibilità prevista da una sperimentazione avviata dal Miur e a cui hanno aderito, dal gennaio 2018, circa 200 scuole in tutta Italia. Al liceo Bruni hanno iniziato con una classe l’anno scolastico 2018/2019 e quest’anno “raddoppiano” l’offerta. L’incontro pubblico ha offerto la possibilità, a studenti e famiglie, di riflettere sul liceo breve, che permette ai ragazzi di diplomarsi in 4 anni anziché 5. Una sperimentazione ancora poco conosciuta nel nostro paese, che incontra molti preconcetti e dubbi. Per aiutare a chiarire le idee ne abbiamo parlato con Martino Frizziero, coordinatore didattico del Liceo Romano Bruni.



Che cosa vi ha spinto a scegliere il percorso quadriennale, che in Italia è ancora sperimentale?

Sono stati diversi gli elementi che ci hanno spinto a intraprendere questa nuova strada. Per la prima volta il Miur non imponeva una riforma dall’alto, ma data una cornice di indicazioni lasciava completa libertà alle scuole di proporre un percorso innovativo partendo dalle proprie esperienze, possibilità e idee. Questa possibilità di poter “riscrivere” l’offerta formativa con un’ampia autonomia ci è sembrata un’occasione da non perdere perché poteva raccogliere tutta l’esperienza di vent’anni di scuola e organizzarla in un modo nuovo e organico. L’altro elemento interessante era il confronto con altri sistemi scolastici europei o con gli stessi licei italiani all’estero che concludono il loro percorso con i 18 anni di età degli alunni (come anche le nostre vecchie magistrali). Insomma, c’erano esperienze interne ed esterne che ci hanno fatto scegliere con interesse e curiosità di aderire a questa sperimentazione.



Quali sono state le difficoltà maggiori da superare?

Le difficoltà sono di vario tipo: l’organizzazione dell’anno scolastico e della settimana; la formazione dei docenti, che va fatta in modo pionieristico perché non vi sono corsi promossi da enti terzi; il ripensamento concettuale che è necessario svolgere perché si cambia paradigma; la comunicazione chiara di cosa si fa nel quadriennale, perché non è un’abbreviazione degli studi, ma nemmeno una concentrazione impossibile. E se devo aggiungere una difficoltà importante è che, dopo l’inizio, sembra venuto meno l’accompagnamento del ministero e non pare sia data molta considerazione per questa sperimentazione, sebbene sia stata presentata come una priorità per la scuola italiana per il prossimo decennio.



In Italia i percorsi liceali sono molto ricchi di materie e prevedono programmi molto ampi e articolati. Per diplomarsi in 4 anni è stato necessario operare una “compressione” dei programmi?

Qui mi permetto un paio di osservazioni preliminari: i programmi in Italia non esistono più da anni, ma vi sono le cosiddette Indicazioni nazionali nell’ambito delle quali le scuole e i docenti hanno grande autonomia. È esperienza di tutti che addirittura nella stessa scuola, tra sezione e sezione, tra docente e docente ci siano scelte diverse, programmi svolti in modo diverso e con argomenti diversi. Si chiama libertà di insegnamento. Questo si vede bene anche all’esame di Stato dove, tranne le prove scritte che sono nazionali, i ragazzi vengono interrogati sul programma presentato dal consiglio di classe che, ovviamente, è diverso non solo da scuola a scuola, ma da classe a classe. Questo per dire che parlare di “programma” standard praticamente non ha senso. Venendo invece nel merito della domanda, posso dire che abbiamo operato delle scelte, più che delle compressioni, partendo dai saperi di base, dalle competenze fondamentali e dai nodi concettuali pluridisciplinari.

Può citare degli esempi?

Quanto tempo si risparmierebbe se si evitasse che ogni docente di italiano, storia, arte e filosofia che entra in classe presentasse il periodo storico di cui parla, ma entrasse subito nello specifico del testo, dell’opera d’arte, del pensiero filosofico, eccetera? Oppure se il riassunto che faccio in italiano fosse condiviso con i colleghi, si potrebbe subito vedere che l’interrogazione è un riassunto, la “relazione” di fisica e di scienze sono riassunti, la risposta aperta a una domanda è un riassunto, e si potrebbe così lavorare assieme sulla competenza della sintesi. Ovviamente questo obbliga a un lavoro di team tra docenti che è la grande partita da giocare. Infine, seguendo il motto latino non multa sed multum, sappiamo bene che si impara un metodo e un criterio anche andando a fondo di una sola cosa o esperienza più che accumulandone tante. Aggiungo, infine, una provocazione: ma qualcuno di noi si ricorda il programma che abbiamo fatto alla scuola superiore? O si ricorda qualche esperienza significativa che lo ha formato?

Che vantaggi può avere uno studente a diplomarsi in 4 anni anziché 5?

Sul vantaggio assoluto si può dire che un liceo, preparando all’università, ha come naturale prosecuzione altri anni di studio. Pertanto un giovane può scegliere prima la continuazione della sua formazione scegliendo a 18 anni e non a 19 il campo specifico in cui farlo. Noi vediamo i ragazzi che dopo i 18 anni, con la patente in tasca e magari con l’auto parcheggiata fuori dalla scuola, sono ancora costretti a restare 5 ore al giorno su un banco, mentre i loro coetanei europei iniziano una nuova fase della vita. E poi c’è un paradosso.

Quale?

Più della metà dei nostri alunni arriva a giugno dell’ultimo anno avendo già superato i test di ingresso all’università, perché le facoltà non considerano in alcun modo significativa la preparazione fatta per l’esame di maturità. E quindi il valore dell’esame di Stato non è considerato importante dallo stesso ministero che lo propone.

È un vantaggio anche il fatto che un ragazzo italiano può giocare alla pari con i suoi coetanei europei ed extraeuropei, senza essere già a priori in ritardo?

Certo. Basta ricordare che un consigliere europeo ci ha raccontato che ha dovuto fare presente ai responsabili del progetto Erasmus che i nostri ragazzi escono dalle superiori a 19 anni, se no non avrebbero potuto parteciparvi per limiti di età.

Non si mette però un po’ a rischio la buona preparazione di uno studente facendogli completare il percorso di studi con un anno di anticipo?

Questa è un’obiezione che sentiamo frequentemente, ma in questi termini: il ragazzo non sarebbe ancora maturo dopo soli quattro anni di scuola superiore.

Cosa ribatte?

Su questo mi ha molto colpito che cosa ci ha detto il professor Francesco Rossi, professore associato di matematica presso l’Università di Padova e di Marsiglia, in un recente incontro tenuto qui a scuola: confrontando come vivono i giovani in Francia, dove i ragazzi vanno all’università a 18 anni, con quello che vede in Italia, ci diceva che la maturità avviene se si danno delle responsabilità e non solo perché passa il tempo. Raccontava di come, qui da noi, i docenti universitari spesso si trovano a ricevimento anche i genitori o di colloqui di lavoro svolti da giovani accompagnati dai genitori. Cose impensabili in Francia. Il punto è come si fa crescere il ragazzo. Forse, una circostanza maggiormente sfidante, come quella del percorso quadriennale, potrebbe essere molto vantaggiosa su questo tema. La preparazione invece, come detto prima, avviene grazie ad altri elementi, e non solo grazie al tempo di studio. Almeno a livello liceale.

Quali sono i punti di forza della vostra proposta formativa e didattica?

La nostra proposta prevede che lo studente possa realizzare un suo personale curricolo, aggiungendo al monte ore obbligatorio alcune materie opzionali realizzate anche attraverso laboratori. Questo individualizza il percorso e rende responsabile il ragazzo. Per cui si può scegliere, per esempio, tra una seconda lingua e informatica o tra teatro e laboratorio di matematica o di ricerca storica.

Che obiettivi hanno i laboratori?

Questi laboratori hanno spesso un obbiettivo concreto e reale: la rappresentazione finale, la partecipazione a un concorso, la realizzazione di un libro o di una mostra. E permettono di attivare non tanto le conoscenze, ma le famose competenze o soft skills.

Avete anche introdotto alcune materie nuove in un percorso di liceo scientifico…

Sì. Al primo biennio, il “metodo sperimentale” con due ore a settimana in compresenza tra il docente di fisica e quello di scienze; al secondo biennio, il diritto ed economia in lingua inglese.

Altri punti qualificanti?

Direi l’internazionalizzazione e l’attenzione alla lingua inglese. I ragazzi nel corso dei quattro anni fanno sempre un’ora in più a settimana di lettorato, esperienze di materie insegnate in Clil, possono fare tre viaggi studio all’estero (due in un paese anglofono e uno in Francia), e anche realizzare l’alternanza fuori dall’Italia. Infine, questo come Dna della scuola, la condivisione del percorso educativo con le famiglie e il continuo lavoro di team tra docenti.

(Marco Biscella)