Lo straordinario e inaspettato successo dell’Italia alle Olimpiadi ha fatto sì che i media dedicassero allo sport molta più attenzione di quanto normalmente riservata.

Si guardava agli sport di squadra più noti, volley e basket, e invece la gloria è venuta soprattutto dall’atletica: dall’eroismo di alcuni straordinari atleti e dalla sapiente regia del ct Antonio La Torre, che ha avuto due meriti in particolare: la capacità di coordinare con autorevolezza le decine di allenatori e di società che costituiscono la costellazione “atletica” e l’altrettanto straordinaria abilità di integrare competenze di natura tecnica con conoscenze teoriche del mondo accademico.



Un congegno perfetto di esperienza, di pratica sportiva e di studio teorico, un’occasione per vedere in atto le life skills di cui tanto si parla, ma che, ai più, rimangono ignote.

Quello che abbiamo visto accadere a Tokyo accade talora anche nelle nostre scuole, in particolare nei licei sportivi. È forse giunto il momento, e l’occasione è propizia, per riflettere in maniera sistematica su sport e scuola.



Per troppo tempo le scienze motorie hanno avuto un ruolo davvero subalterno nel curriculum scolastico. Qualcuno ha recentemente sottolineato come la parola sport non compaia nella nostra Costituzione e tutti più o meno abbiamo visto relegata l’attività motoria, quando va bene, alle 2 ore settimanali di lezione.

L’emergenza educativa, l’enorme bisogno di “staccare” dai vari devices, la paralisi del lockdown, esigono in questa fase di ripensamento una riflessione ad ampio raggio sul tema.

Non può questo articolo sviluppare in maniera ampia la relazione fra scuola e sport. Però si può portare all’attenzione quanto poco si sia destinato alla riflessione sistematica.



Forse per un desiderio di rimozione di quanto il fascismo aveva investito sul tema, forse nei decenni successivi per la subalternità degli istituti superiori di educazione fisica rispetto ad altre lauree, fatto è che il ruolo dei docenti di scienze motorie nella scuola primaria non è stato nemmeno previsto e nella scuola superiore è stato relegato a ruoli comprimari; ora forse lo scenario può cambiare.

I docenti di scienze motorie conseguono da tempo una laurea assolutamente equivalente alle altre, per natura e per deontologia continuano a seguire aggiornamenti almeno quanto gli altri docenti, e molti di loro, oltre la laurea, sono in possesso di certificazioni o brevetti che dicono di un’inesausta passione al miglioramento delle proprie competenze.

Il liceo sportivo li vede registi indiscussi del curriculum: le ore che afferiscono a quest’area sono 5 nel triennio o 6 nel biennio, altre discipline concorrono a completare il quadro.

I licei, pochi per la verità, distribuiti su tutto il territorio nazionale, istituiti con Dpr 89 del 2010, ma attivati solo dall’anno scolastico 2014-2015, vedono continuamente in crescita le richieste di iscrizioni, pur potendo accogliere solo studenti di un’unica sezione.

Non sono scuole dello sport, sono licei a tutti gli effetti, con una fortissima componente teorica, incardinati nel sistema dei licei scientifici e delle scienze applicate, con un curriculum caratterizzato sicuramente dall’attività motoria, ma capace di integrarsi con le altre discipline, in particolare con le scienze biologiche e chimiche, con la fisica, con la matematica (segnatamente la statistica), con l’inglese (la lingua dello sport per definizione) con il diritto e l’economia dello sport (discipline innovative e estremamente interessanti) e ora con la trasversalità dell’educazione civica.

Preme sottolineare che se già in “tempo di pace” la gestione dei rapporti con il territorio, alla ricerca di spazi e collaborazioni, è un grande impegno per dirigenti e docenti dei licei sportivi, la pandemia ha oltremodo richiesto responsabilità e inventiva. Il rispetto dei protocolli, l’esigenza di sostenere ragazzi improvvisamente privati dell’attività sportiva quotidiana, che vedevano sfumare “momenti di gloria” hanno sicuramente messo alla prova l’istituzione scolastica che, in molti casi, è stata capace di costruire percorsi innovativi e di diventare interlocutrice dell’ente pubblico anche nella prospettiva di costruire strutture leggere, alternative a quelle esistenti.

Un modello di scuola necessariamente aperto, in linea con le più recenti indicazioni. La scelta di costruire reti fra le scuole sportive ha consentito una feconda interazione di buone prassi, in una relazione costante nella prospettiva di un miglioramento continuo.

Chi sono gli studenti del liceo sportivo? Talora atleti, ma non solo; anche studentesse e studenti appassionati che hanno intravisto nella cultura dello sport opportunità di studio e di occupazione interessanti, e infatti i primi dati occupazionali, anche se ancora poco significativi, dicono di opportunità davvero importanti, oltre che ottimi follow up negli studi universitari, in particolare nelle professioni medico-sanitarie ma non solo.

Che gli atleti siano ragazzi eccezionali non c’è dubbio, con una determinazione, una consapevolezza del sé, un rispetto per la norma e per l’adulto davvero poco comuni, ma è altresì vero che la condivisione delle loro peculiarità, con i compagni, li rende davvero gemme preziose a cui la scuola tutta guarda.

In molti casi si tratta di ragazzi con alle spalle genitori disponibili ad assecondare i talenti dei figli con sacrifici non comuni, in altri casi l’occhio attento del docente può individuare talenti fino a quel momento rimasti sottotraccia.

I licei sportivi sono altresì chiamati ad approfondire aspetti delicatissimi dell’adolescenza, si pensi all’abuso di sostanze o al cyberbullismo o ai disturbi alimentari, temi questi che la pratica sportiva esige di affrontare con particolare cura.

Altrettanto delicato il tema di natura psicologica ed emotiva come la tenuta, la resilienza se si preferisce, rispetto ad eventuali fallimenti. Talora una semplice frattura o anche incidenti meno rilevanti determinano la fine di una carriera, anche in questo caso la scuola diventa un ambito formativo e di recupero essenziale.

Molte le “competenze” sviluppate in questo tipo di liceo, si pensi in particolare all’esercizio alla condivisione di cui la staffetta è l’esempio supremo: espressione della squadra allenata a perfezionare i meccanismi della relazione, vince il testimone portato dagli atleti, appunto testimone prezioso dello sforzo e delle abilità dei concorrenti. Ma anche a scuola i nostri ragazzi hanno bisogno di relazioni così: dove si porta insieme qualcosa di prezioso, si lavora ognuno con la consapevolezza che il proprio pezzo di compito ha uno scopo più grande.

Da anni persino il mondo del lavoro si è accorto che attraverso lo sport si possono proporre ai propri quadri percorsi di crescita (le famose soft skills) attraverso team building che in diversi casi sono condotti proprio da insegnanti di scienze motorie specializzati.

La presenza nei licei sportivi di studenti con Bisogni educativi speciali (Bes) è  ha inoltre sollecitato il confronto con lo scenario delle Paraolimpiadi e delle Special Olimpics, un’esperienza di inclusione sfidante.

Quindi guardiamo allo sport che si integra nei curricula scolastici con nuova dignità e come a una grande opportunità di studio, di riflessione e di accompagnamento ai nostri ragazzi, soprattutto in questo momento così particolare. La norma per esempio prevederà, ci auguriamo a breve, la presenza dello specialista in scienze motorie anche alla scuola primaria, che per la verità in molte scuole già esiste.

Soprattutto superiamo il pregiudizio, vetero-idealistico, di una scuola solo centrata sulla “mens sana”, che può invece albergare solo “in corpore sano”.

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