Chi come me ha frequentato le scuole elementari negli anni 60 conserverà ancora quelle splendide pagelle verdoline scritte in una calligrafia curata e oggi introvabile. Piccole, piccole. Poche caselle, un voto per trimestre. Roba semplice, insomma. Chi come me poi è passato dall’altra parte della cattedra negli anni 80 si è trovato pagelle un po’ più grandi, ma sempre con poca roba chiara e semplice. Forse quadrimestri già da allora e numeri.



Ma proprio in quegli anni dopo un approfondito e ampio dibattito, come accade sempre per le decisioni che riguardano la scuola, dai voti si è passati ai giudizi, tanto alle elementari quanto alle medie. Almeno se danno dev’essere, lo sia per tutti. Le pagelle sono diventate lenzuola, ogni materia aveva descrittori e sottodescrittori, a ciascuno dei quali corrispondeva una lettera. Copiando dal campionato di calcio si trattava di mettere in serie A, B, C o D i malcapitati alunni. Che insieme ai genitori passavano i primi tempi a chiedersi a cosa potesse corrispondere quella lettera, a capire se la loro A fosse un 9 oppure un 10, per esempio, perché così tutto era un po’ più confuso. E complicato all’inverosimile tentare di fare una media. Ma le prescrizioni pedagogiche del decennio avevano individuato questo come un innegabile progresso.



Tanto è vero che, dopo ampio e approfondito dibattito, la scuola tutta tornò al voto. Con sollievo di tutti. Ma in questi mesi di pandemia, con la tragedia che molte famiglie hanno vissuto, il ministro non sapeva come passare il suo tempo e come far passare quello dei suoi sottoposti. Cominciare a pensare al dopo? Cominciare a pensare al durante? Durante una visita alla sua estetista, poiché i centri estetici nel frattempo avevano riaperto, mentre la scuola rimaneva rigorosamente chiusa – è risaputo infatti che le estetiste non respirano e lavorano con la telepatia e mica con le mani – dopo ampio e approfondito dibattito hanno convenuto che sarebbe stato utile ritornare ai giudizi. Almeno per le scuole primarie. Che si sa, costituiscono mondo a parte da che mondo è mondo.



Come se non bastasse, avendo riaperto anche i parrucchieri, probabilmente dopo ampio e approfondito dibattito durante una seduta di taglio e messa in piega e dopo essersi consultata anche con il web, il ministro ha ritenuto opportuno dare risposte precise alle numerose richieste da parte del mondo della scuola – in primis genitori e insegnanti – formulando le nuove linee guida dell’educazione civica che comporteranno una revisione dei curricoli di istituto.

Così gli insegnanti, notoriamente poco impegnati a settembre alla ripresa della didattica in presenza che, obtorto collo, occorrerà ricominciare, avranno modo di dare applicazione a tali indicazioni. Tenendo ben presente che, cito testualmente, “L’educazione civica… supera i canoni di una tradizionale disciplina, assumendo più propriamente la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio, per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari”.

Matrice valoriale trasversale: roba da psicoterapia di gruppo per tutti quelli che hanno contribuito a scrivere ste righe.

Comunque.

Chi come me ha cominciato a insegnare nei primi anni 80 ricorderà, oltre alle terribili giacche con le spalle imbottite e i capelli inguardabili dei Duran Duran, che gli insegnanti di lettere alle scuole medie – oggi scuola secondaria di primo grado, of course – erano così nominati: professore di italiano, storia, educazione civica e geografia. Poi è sparita l’educazione civica. È arrivata l’educazione alla cittadinanza. Ma gli insegnanti di storia delle medie se volevano far capire due cose ai loro alunni affrontavano con la solita passione argomenti che stavano sotto quel titolo di prima. Ora invece l’educazione civica è quella roba lì scritta in corsivo.

Le linee guida dicono, nello stesso modo, chiaramente e tondamente, chi deve fare cosa, come deve farlo, chi deve valutare e come deve valutare. Leggere per credere. Immagino già il lenzuolo su cui tutti gli insegnanti, chiamati insieme a edificare il cittadino – non più italiano, non più europeo, non più illuministicamente del mondo, ma cinquestellamente cittadino del web e delle sue vie infinite – dovranno mettere le loro belle valutazioni.

Nel frattempo a scuola non si torna. Infatti dopo un’ultima seduta di trattamenti linfodrenanti e tonificanti, il ministro ci ha invitato tutti ad andare al cinema, a teatro, nei musei. Con un pullman ogni 2/5 di classe e due accompagnatori, reperiti con contratto a tempo determinato, dotati di gel sanificante nella tasca della blusa con su scritto: cabina di regia 2020. O forse agenda 2030. No questa sigla è quella dei collaboratori scolastici che sono già scesi in piazza lamentando giustamente i loro diritti così: “Pulivo un’aula, la 2A. Ma forse oggi la divideranno in due aule. E io dovrò pulirle entrambe essendo oggi la 2A così divisa?”. Nel frattempo nessuno pulisce niente. Perché si sa che il virus diventa più cattivo quando vede una scuola e allora i bidelli e i segretari se ne stanno a casa aspettando tempi migliori. A settembre, mentre si faranno i corsi di recupero, mentre si applicheranno le linee guida, mentre si appiccicheranno le frecce non blu e non rosse sul pavimento, loro brandiranno il loro straccio con soluzione alcolica, mascherina, visiera, guanti ignifughi e tutto l’occorrente a sconfiggere il nemico.

Dunque: tutti al museo? Qui nell’hinterland milanese il territorio pullula di  musei, teatri, biblioteche. Volevo però segnalare che il mio benzinaio mette a disposizione la tettoia del suo distributore. E mi ha fatto sommessamente presente che dietro la sua piazzola si innalza un collegio arcivescovile che ospitava fino a qualche anno fa scuole elementari, medie, ragioneria e liceo. Con palestra, teatro, parco, campi da basket e da calcio. E che magari verrebbe via con poco e si potrebbe usare subito. Vuoi vedere che tornano in auge le scuole private? L’ho ringraziato e gli ho chiesto di riferirlo all’estetista: magari è capace di convincere il ministro e la sua cabina di regia che anche quella roba lì potrebbe stare sotto il nome di territorio.

Ecco spiegato perché i più importanti programmi di politica oggi sono condotti da comici: a cominciare dal loro vero principe indiscusso Crozza, per finire ai giochi di clownerie di Gomez o Travaglio, Giordano o Del Debbio.

Una volta, forse erano gli anni 80, chi lo sa, c’era una pubblicità progresso. Si chiamavano così. Diceva: chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere.

Ora potremmo parafrasare così: chi governa la scuola avvelena soprattutto te. Fallo smettere.

Ma forse bisognerebbe tornare a studiare l’educazione civica. Vuoi vedere che ha ragione il ministro?

Giuseppe, l’amico di Corrado