Si riunisce oggi la Conferenza unificata Stato-Regioni presieduta dal premier Giuseppe Conte per discutere del documento “Piano scuola 2020-2021” proposto dal ministero dell’Istruzione ed elaborato dal Comitato di esperti istituito a fine aprile dal ministro Lucia Azzolina.
La bozza del testo circola già da alcuni giorni e ha dato adito ad interpretazioni spesso confuse, tanto che la stessa Azzolina ieri è intervenuta per smentire diverse informazioni errate. Il testo, oltre al dovuto rimando al Documento del Comitato tecnico scientifico sulle “Modalità di ripresa delle attività didattiche del prossimo anno scolastico” del 28 maggio scorso, prevede dei Tavoli regionali insediati presso gli Uffici scolastici regionali del Miur, con il compito di coordinare le azioni di avvio dell’anno scolastico 2020-21.
In premessa rimanda all’autonomia scolastica (Dpr 275/99) e affida alle scuole l’attuazione delle direttive con la necessaria flessibilità. Si prospettano eventuali riconfigurazioni del gruppo classe, l’articolazione modulare di gruppi di alunni, turni di frequenza differenziati e per le superiori un’integrazione tra didattica in presenza e a distanza. Consiglia inoltre l’aggregazione delle discipline (ambiti disciplinari) e l’estensione del tempo scuola anche al sabato, ma non accenna a doppi turni.
Più fumoso l’accenno alle comunità territoriali (enti locali, istituzioni, pubbliche e private, terzo settore) che stipulando “patti educativi di comunità” concorrono all’istruzione con la messa a disposizione di spazi e strutture e grazie a personale educativo aggiuntivo, permetterebbero l’utilizzo degli spazi esterni agli edifici scolastici per attività integrative. Un po’ scontata anche la possibilità di aggiornamento per docenti sulle metodologie per la didattica interdisciplinare e multimediale.
Un problema cruciale, poi, riguarda gli orari di inizio e fine delle lezioni e i relativi assembramenti. Qui il documento rimanda ai tavoli regionali, si limita all’auspicio delle buone pratiche e alla richiesta di collaborazione con gli enti locali per trasporti e il reperimento di nuovi spazi.
Nello specifico vengono anche prese in considerazione le varie fasce d’età. Per l’infanzia non è previsto l’uso di mascherine, mentre per gli insegnanti sono consigliate “visierine leggere” e, se opportuno, guanti di nitrile. Inoltre è prescritta la stabilità dei gruppi e spazi interni ad uso esclusivo da sanificare in modo opportuno. Si ipotizzano numeri ridotti e diversificati (saloni, atrii, laboratori da riconvertire per lo svolgimento delle attività) e l’utilizzo di segnaletica mobile per il movimento dei gruppi all’interno delle strutture.
Le indicazioni per la primaria e la secondaria di primo e secondo grado risultano del tutto insufficienti. Ci si limita a indicare l’uso dei laboratori, che possono essere utilizzati per l’attività didattica ordinaria, anche con aggregazioni che non rispettino il gruppo classe.
Molti dirigenti scolastici sono rimasti profondamente delusi per la genericità delle indicazioni e da più parti si sostiene che la complessità dei problemi non viene minimamente toccata. “Non contiene indicazioni operative, né definisce livelli minimi di servizio” precisa Antonello Giannelli presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, mentre Mario Rusconi (Anp Lazio) sostiene che il distanziamento sociale “sarà difficilmente realizzabile per un gran numero di scuole”.
Il rimando al documento del 28 maggio sana solo in parte le problematiche, in quanto si prevede un distanziamento di un metro tra uno studente e l’altro (la classe sarà gestita con l’assetto in cui si svolgono i compiti in classe), percorsi differenziati con segnaletica, l’uso della mascherina e la frequente igienizzazione delle mani.
Tuttavia tra teoria e pratica spesso ci sono diversità insanabili. Ad esempio, la richiesta di aerazione spesso non è possibile da attuare in quanto le temperature invernali impediscono di sostare seduti oltre pochi minuti con le finestre aperte, oppure molte scuole di impianto otto–novecentesco non permettono l’attuazione delle misure consigliate, per limiti strutturali.
Le scuole italiane sono organizzate da sempre sulla concentrazione e i dimensionamenti scolastici varati dalle Regioni prevedono istituti con iscritti tra 500 e 900 studenti. Anche le classi sono costruite su numeri elevati e di norma possono arrivare a 27 con eccezioni sino a 31 alunni. Un criterio introdotto dal ministro Gelmini, circa un decennio fa, per rispondere alle difficoltà finanziarie della crisi del 2008, ma non più modificato dai successivi governi.
Ora in poco più di 2 mesi non è fattivamente realizzabile una ristrutturazione didattica così radicale, per cui ad emergenza segue un’altra emergenza e come in tanti settori dell’amministrazione pubblica gli interventi straordinari diventano la regola e il “fai-da-te” il criterio attuativo.