Esistono facce, a settembre, su cui leggi lo sbalzo, l’asintoto, il gradone. Dalla spiaggia all’aula, l’inizio dell’anno scolastico è il gradone. Piomba l’ordinario, accompagnato dai mugugni sulla ripresa e dalle estenuanti prediche dei primi giorni (“quest’anno si fa sul serio”, “siamo indietro con il programma”). L’abitante dell’asintoto, però, proprio perché in preda al gradone da saltare, non sospetta che la vita sia una sola, né che l’estate sia il momento della chiarezza. Settembre – questo ossimoro di mese – vive anche della luce degli orizzonti estivi. O si incupisce nelle mura incolori degli edifici scolastici e nel grigiore di chi ricomincia perché ci tocca ricominciare.



Sembra un vecchio film di Pippo Franco: suo papà è romanista, suo suocero è laziale. Lui regge la doppia vita fin quando arriva il giorno del derby, e uno tifa in una curva, l’altro dalla parte opposta: come potrà conciliare l’inconciliabile? in quale curva dovrà sistemarsi? Si fa cucire una giacca biancoceleste all’interno e giallorossa all’esterno, e con la scusa di andare in bagno di tanto in tanto abbandona una curva per correre fino all’altra, girandosi la giacca mentre corre fuori dallo stadio. La finzione gli riesce per quasi tutta la partita, finché, a un certo punto, ovviamente sbaglia, e si ritrova nella curva della Lazio con i colori della Roma.



Molti alunni e insegnanti sono un po’ come quel Pippo Franco: l’inverno sono della Lazio e l’estate della Roma, la mattina indossano una casacca e la sera un’altra, in settimana dicono delle cose e nel fine settimana tutt’altro. La finzione divora i loro giorni: quel che scrivono nei compiti di italiano non è quel che dicono il sabato sera, l’amor cortese poco c’entra con la botta e via di tante avventure, i bei discorsi sui sommi ideali poetici e filosofici si strozzano sotto gli ombrelloni delle spiaggette, e tutto l’infinito leopardiano in fondo era una settimana in Grecia o in Croazia, “lo gran mar de l’essere” dantesco sbiadisce davanti al paradiso di certe piscine, e il male di vivere montaliano cosa vuoi che sia quando puoi postare le belle mangiate con gli amici?



Si sa, un conto sono le vacanze e un altro è la scuola. Ci sono momenti e momenti. Giacche e giacche. Giacche e costumi. Come non si parla di lavoro quando si stacca la spina, così si lascia la vita fuori dell’aula. C’era il piacere, ricomincia il dovere; c’era la libertà, ricomincia l’obbedienza. Invece è tutto il contrario che serve: serve la libertà, servono persone libere, persone che non devono cambiare giacca.

“Mi ritrovo in uno scenario preoccupante e conturbante: bocche che recitavano con tanto orgoglio e fierezza i versi di Leopardi impiegate nel vomitare a destra e manca alcolici”. Ci vuole un attimo, perché la moda ti inghiotta. “Ti senti l’unico a percepire il deserto e il buio, ne sei spaventato e spesso disgustato, perché ti sembra che agli altri basti prendere parte a una serata, farsi abbastanza bella e con pochissime pretese, ubriacarsi fino a stare male e intavolare dibattiti sterili e occasionali. Chiusa la questione. Si arriva a casa senza ricordare il proprio nome e la propria anima”. Ora che ricominciamo, permetteremo a Elisa di incontrare chi nella storia ha fatto i conti con “il deserto e il buio”? oppure ci metteremo la coscienza a posto ripetendo le nostre spiegazioni? anche noi la lasceremo tornare a casa senza che abbia riconquistato “il proprio nome e la propria anima”?

«Settembre, andiamo. È tempo di migrare», stanno arrivando i poeti, i filosofi, gli scienziati: li accoglieremo con la maschera ipocrita del bravo studente e del bravo insegnante o ci grida dentro il desiderio di scoprire cosa siamo e cos’è il mondo? Su questo desiderio non si può bluffare. L’estate è sempre il momento della chiarezza, quello in cui uno si toglie le giacche e rimane nudo: e cosa trova nell’anima?

Il 26 agosto, da buon facinoroso pavesiano, ho scritto ad alcuni alunni e amici che la sera avrei letto sulle panchine di un parco le poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e le ultime pagine del Mestiere di vivere. Vedere cinquanta ragazzi che per due ore reggono quella tensione drammatica cambia per sempre il modo di pensare e di entrare in classe. Ed erano stati un centinaio, nelle sere di luglio, a ritrovarsi per leggere Feria d’agosto e Lavorare stanca. Chi ha visto delle persone libere non lo dimentica più. Gli passano tutte le manie di intavolare facili discorsi su questi giovani d’oggi che non si interessano a niente. Non si aspetta la salvezza né dal nuovo ministro dell’Istruzione né dal modello finlandese né dalle tasse sulle merendine. Perché la verifica della scuola è sempre il tempo libero, è sempre quando uno non ha bisogno di cambiarsi giacca, quando abbandona il gruppo e riscopre “il proprio nome e la propria anima”.

È imbarazzante che il carrozzone scolastico di tutto si preoccupi tranne che di questa ineffabile urgenza. Sembrano chiacchiere, per chi non ha mai visto adolescenti una sera di agosto a leggere poesie sulle panchine di un parco, per chi soprattutto a settembre cambia giacca e si sente a posto così. Il tempo prima di cominciare trema di questa luce soffusa. Si vorrebbero pescare, dal primo all’ultimo giorno, parole vere, eterne, che sfidino l’estate, la vodka e i test d’ingresso. Si attendono uomini, anziché studenti con le facce da studenti e insegnanti con le facce da insegnanti. Si è lì, un attimo prima di mettere i piedi in classe, a spiare il mare sconosciuto che ci aspetta a pochi passi.