La resa dei conti Lega-M5s che sta travolgendo il governo riguarda anche la scuola? Certo. Anzi la scuola è stata nelle passate settimane uno dei tanti terreni della contrapposizione tra le due forze che si allearono sulla base del famoso “contratto”. Già, il contratto per il governo del cambiamento che al punto “scuola”, prometteva di riportare l’istruzione al centro del sistema Paese e di prestare particolare attenzione ai docenti garantendo: 1) l’abbattimento del tasso di precarizzazione; 2) la revisione del sistema di reclutamento; 3) l’introduzione di strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio.
Questa piattaforma ora non è più condivisa, ma oggetto di pesanti accuse reciproche tra le due (ex) forze di maggioranza. Lo si coglie meglio dopo una rapida cronistoria dei più recenti sviluppi in materia di reclutamento.
Lo scorso 24 aprile il governo sottoscrive un’intesa con i sindacati della scuola garantendo (c’era in ballo uno sciopero poi sospeso) l’indizione dei concorsi ordinari da circa 66mila cattedre, aperti anche ai laureati forniti di 24 crediti formativi (in quest’ultimo caso si sarebbe avviata la nuova procedura di reclutamento voluta dal ministro Bussetti) e la stabilizzazione dei precari storici e di terza fascia con oltre tre anni di servizio alle spalle, tramite un percorso abilitante speciale (Pas). Si parla di circa 55mila docenti con i requisiti in regola per accedere ai Pas, sui quali si infuoca il dibattito e che sono bollati da una parte del mondo della scuola e degli esperti come un’inaccettabile sanatoria che squalificherebbe la didattica, non prevedendo nessuna seria valutazione corrispondente a un Tfa (tirocinio formativo attivo).
L’11 giugno ministro e sindacati raggiungono una seconda intesa che prevede la partenza dei Pas senza selezione in ingresso e, sul restante 50% delle cattedre disponibili, l’accesso ai ruoli per via concorsuale. Fino a questo punto, è da notare, i grillini sono d’accordo. Lo dimostra la seguente dichiarazione (13 giugno) dell’on. Flora Frate, in quota M5s, della Commissione VII: “L’intesa raggiunta segna un avanzamento importante che va finalmente nella giusta direzione: dare risposte al popolo precario della scuola offeso e mortificato da anni di scelte scellerate. Non mi piace la parola sanatoria e trovo discutibile chi invoca pretestuosamente questioni di merito e di competenza”.
Il percorso delle intese invece non è per nulla semplice e già alla fine di giugno una nota dei sindacati avverte che se dialettiche interne alla maggioranza rischiano di vanificare il programma di reclutamento dei docenti, spetta al presidente del Consiglio il dovere di intervenire.
Il 30 luglio il ministro Bussetti annuncia ufficialmente l’apertura dei concorsi scuola per i docenti: prima il bando per infanzia e primaria e in autunno i concorsi per la scuola secondaria.
Si giunge così allo schema di decreto legge dello scorso 6 agosto, licenziato “salvo intese” dal Consiglio dei ministri che prevede, in materia di reclutamento, l’accesso ai Pas, solo abilitanti, con tre anni di servizio svolto “nelle scuole del sistema nazionale di istruzione” e l’indizione di un concorso straordinario per stabilizzare, previa prova scritta al computer e prova orale, circa 24mila docenti con alle spalle tre anni di servizio.
I sindacati scuola abbozzano, ma la convergenza politica Lega-M5s si frantuma, tanto che i pentastellati, per bocca dell’on. Bianca Granato, intervengono pesantemente su Bussetti al Senato (7 agosto) sui due percorsi “salva precari” (Pas e concorso straordinario) e sull’inaccettabile rimando del concorso ordinario di cui non c’è traccia nel decreto. I grillini accusano Bussetti e gli ambienti della Lega di avere stravolto l’intesa del 24 aprile e, nel clima dettato dai risultati delle elezioni europee, di avere riempito il decreto di sanatorie e deroghe. In altri termini, i pentastellati accusano Bussetti di utilizzare il decreto per capitalizzare consensi nel mondo della scuola in vista di future/prossime elezioni che la Lega si preparerebbe a vincere.
E Bussetti come risponde? Così: “All’inizio del nostro mandato, abbiamo assunto degli impegni precisi con gli elettori e da allora non ci siamo mai fermati” (11 agosto). Elettori? Ahi, ministro, ma le riforme scolastiche dovrebbero prescindere dagli interessi di parte!
A questo punto quale sarà la sorte del decreto del 6 agosto, che dovrebbe andare in Gazzetta ufficiale il 28 agosto e poi essere emendato (vedi il “salvo intese”) durante il dibattito parlamentare? Difficile dirlo. Con la crisi in atto rischia di essere bloccato. Se convertito, dopo un dibattito nelle attuali Camere, sicuramente ritoccato.
La vicenda è ad ogni modo indicativa della cifra dell’attuale momento politico che, e alla scuola non fa certo bene, è gravemente deficitario su ogni versante di quello che dovrebbe essere il perno di ogni comunità politica: la capacità di elaborare progetti condivisi e non solo utili a distruggere il pregresso e a costruire sull’onda di un consenso momentaneo.