La scuola era sempre più pesante e Lucilla desiderava una pausa che per un po’ di tempo allentasse la morsa. Lo diceva a tutti, la sua era come un’implorazione perché finisse questo periodo così impegnativo.
“Perché?” le aveva chiesto Roberto, volontario al centro di aiuto allo studio, all’ennesimo sfogo davanti a tutti, che facevano di sì con la testa. Era chiaro per tutti che le richieste erano troppo alte, e la domanda di Roberto sembrava inutile, pleonastica. Ci voleva una pausa, era troppo, questa era la vera questione.
“Dimmi perché? Non è che c’è qualcosa in te che non va?” aveva ribattuto Roberto. Ma Lucilla aveva alzato le spalle, aveva salutato e se ne era andata, lasciando il suo amico volontario sui due piedi. Era furibonda, aveva preso la strada per tornare a casa, con un pensiero fisso nella mente: “non mi capisce nessuno, neanche al centro!”
Il giorno dopo a scuola vi era stata l’ennesima assegnazione di compiti cui la classe di Lucilla aveva tentato una piccola resistenza, ma senza alcun esito, per cui alla fine avevano dovuto portare a casa uno zaino ancor più pesante.
Arrivata al centro, Lucilla era andata da Roberto e gli aveva fatto vedere il numero di lavori assegnati nella mattinata.
“E allora sarei io il problema?” aveva polemicamente affermato la ragazza di fronte al volontario, che aveva reagito dicendole di non aver voluto dire questo, cioè che il problema era lei.
“Ma?” aveva allora chiesto Lucilla.
“È vero che vi stanno caricando di lavoro, non lo metto in dubbio. Non possiamo trovare il bandolo della matassa?”
“Certo! Che si limitino un po’, anche perché così ottengono il contrario di quello che vogliono. Al posto di imparare noi ci disamoriamo della scuola, questo è ciò che succede.”
Sara era lì ad ascoltare e, appena afferrato il senso del discorso, aveva detto a Lucilla che anche in classe sua era successa una situazione simile; ne avevano parlato tra compagni di classe, per poi affrontare il problema con i professori. “Però non siamo andati a chiedere meno compiti. Volevamo sapere innanzitutto perché ci davano tanto lavoro da fare.”
“E che cosa vi hanno detto?” aveva chiesto Lucilla, incuriosita.
“Che dopo due anni di Covid dovevamo recuperare il tempo perso.”
“La stessa cosa che dicono i miei professori. Ti sembra logico?”
“Noi ne abbiamo discusso, perché noi non vogliamo evitare la fatica, ma farla con un senso. È stato interessante, perché è uscito che recuperare il tempo perso è avere il tempo di trovare un metodo. Alcuni prof ci sono venuti incontro, anche riducendo il carico di lavoro, ma soprattutto aiutandoci a imparare un metodo di studio.”
“No, con i miei non può succedere” aveva replicato Lucilla.
“E perché? Cominciate a parlarne tra di voi, è comunque utilissimo. Poi un po’ di fiducia, dai!”. Sara era convinta.
“No, con i miei prof è impossibile.”
“Lascia stare questo tuo pensiero, e cominciate a parlarne insieme, vedrai che qualcosa di buono uscirà. Del resto tu che cosa cerchi?”
In quel momento Lucilla avvertì che la sfida di Sara era interessante. Non avere meno compiti, non solo questo, ma un salto in avanti nel modo di studiare.
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