Ho avuto la fortunata occasione di seguire in queste ultime settimane una serie di convegni che hanno suscitato in me importanti riflessioni su quale possa essere l’effettiva necessità di modernizzare il sistema scolastico italiano, rispetto alle esigenze di preparazione dei nostri giovani studenti.
I temi trattati sono stati molteplici: realtà aumentata, consuntivo sui 60 anni di scuola media unica, intelligenza artificiale, impostazione dell’esame di Stato del secondo ciclo, non cognitive skills, didattica digitale, indicazioni europee sulle nuove competenze. Temi diversissimi, e se ad essi si aggiunge quanto indicato nell’Atto di indirizzo politico-istituzionale del ministro Valditara oltre che nei suoi numerosi interventi – materie Stem e Steam, esperienze Erasmus, istruzione professionale – appare evidente l’esigenza di un denominatore comune.
Mai come oggi c’è la necessità di un filo rosso che colleghi tra loro gli ordinamenti con indicazioni didattico-pedagogiche uniformi, concordi e coerenti tra i diversi ordini di studi, affinché docenti e studenti si trovino – ai vari passaggi di ordinamento – su un piano lineare, senza contraddizioni, coerente con l’obiettivo di raggiungere una valutazione finale che restituisca una immagine appropriata di ogni studente.
Invece, l’epicentro delle contraddizioni che, conseguentemente, si riflettono su molti altri aspetti didattici e formativi è proprio la valutazione.
È emerso con forza durante il seminario organizzato a Milano da “Dirigenti Scuola” qualche giorno fa sul tema “1962-2022. 60 anni di scuola media per tutti e di ciascuno. Bilancio e rilancio di una prospettiva”.
È concreta la contraddizione tra l’introduzione del curriculum verticale tra scuola primaria e secondaria di primo grado nel 2018, dopo anni di confronto in occasione della preparazione della legge Moratti, e l’introduzione – nel 2020 – di una nuova modalità di valutazione solo nella scuola primaria, mentre la modalità di valutazione per la secondaria di primo grado continua ad essere “tradizionale”.
Per farmi capire, queste sono le sintetiche indicazioni di cui i docenti debbono tenere conto per la costruzione del curriculum verticale: conoscere le competenze chiave europee, definire operativamente i processi atti a raggiungere traguardi e obiettivi generali dell’apprendimento, definire gli indicatori dell’agire con competenza, acquisire familiarità con il modello Riza (Risorse-Interpretazione-aZione-Autoregolazione), utile alla costruzione di attività didattiche per competenze.
Su queste indicazioni operative non solo si costruisce il curriculum verticale fino alla terza classe della scuola secondaria di primo grado, ma si basa anche il nuovo sistema di valutazione che, invece, si ferma alla quinta classe della scuola primaria.
Il grido di allarme nasce evidentemente da docenti e dirigenti che operano negli istituti comprensivi, dove vivono concretamente questo disallineamento, ma, anche senza molta fantasia, comprendiamo quanto la forbice della modalità di valutazione si ampli, rimanendo “tradizionale” nella secondaria di secondo grado, sostanzialmente una valutazione di conoscenze con certificazione delle competenze solo al termine del biennio, in modo separato, come da obbligo normativo (Dm 9/2010).
Le competenze riappaiono, dopo cinque anni di pagelle tradizionali, in occasione dell’esame di Stato in cui, come ricordato nelle recenti conferenze di servizio, il colloquio deve basarsi sugli obiettivi e le competenze previste dal Pecup (Profilo educativo, culturale e professionale) di indirizzo. Pertanto risulta evidente che manca un filo conduttore. Di conseguenza mancano linee di riferimento che abbiano una logica di uniformità nel tempo, dando un solido e forte orientamento didattico ai docenti, anche ai fini della valutazione.
Su questo contesto non stabile calano le nuove indicazioni europee e le innovazioni.
Come è emerso durante il convegno Disal di fine marzo “La scuola @l tempo del digit@le. Tra ricerca educativa e nuovi apprendimenti”, oltre a quelle già in atto, l’Unione Europea in occasione dell’anno europeo delle competenze 2023 mette sul tavolo la formalizzazione di 85 nuove competenze, come ad esempio quelle per consolidare abilità cognitive e meta-cognitive (pensiero critico e creativo, imparare ad imparare e autoregolazione), abilità sociali ed emotive (empatia, autoefficacia, responsabilità e collaborazione), abilità pratiche e fisiche (uso di nuove informazioni e dispositivi di comunicazione digitale), in parte prese dal Piano Scuola 4.0, cui si aggiungono le competenze di educazione civica (Dm 35/2020), le competenze per la transizione ecologica e culturale (D.Lgs 196/2021, art.10), le competenze per l’orientamento (Dm 328/2022), competenze Stem (legge 197/2022, art.1 commi 548-554), le competenze di educazione finanziaria (Linee guida), competenze digitali (Pnrr M4C1-I 3.1-16-17, corso obbligatorio di coding per tutti gli studenti) e le non cognitive skills (proposta di legge al vaglio del Senato).
Un piccolo, ma sostanzioso, tsunami didattico-pedagogico che si abbatte su un contesto fragile ed insicuro poiché, va detto con realismo, didattica delle singole competenze, valutazione delle competenze, sinergia della valutazione della competenza con il voto formale della disciplina di riferimento non sono nelle corde e nelle competenze professionali della maggioranza dei docenti che spesso, in risposta a richieste a cui non si sentono pronti, non fanno o continuano il loro lavoro in modo tradizionale.
Se non si avrà la forza e il coraggio di dare equilibrio ed uniformità al sistema e sicurezza con adeguata preparazione ai docenti, l’innovazione finirà per non portare un miglioramento se non a pochi (il progetto “Avanguardie educative” di Indire ne è l’esempio), ma può far correre il rischio, addirittura, di un’involuzione.
Vision e filo conduttore sono indispensabili. Qualsiasi impresa (so che qualcuno storce il naso, ma la scuola è anche un’impresa perché gestisce risorse, con professionalità, per offrire un servizio pubblico essenziale quale è quello della istruzione e formazione; art. 2082 codice civile), quando deve realizzare decisioni importanti fa un briefing nel quale si definiscono obiettivi e traguardo da raggiungere, tempi di attuazione, valutazione delle risorse necessarie, programmazione degli interventi imprescindibili e utili per l’attuazione, temporizzazione del monitoraggio utile a controllare il rispetto dei tempi e la correttezza dell’utilità da mettere in campo.
Occorrerebbe dare al sistema uniformità nel modello di valutazione entro la fine della legislatura, stanziando le risorse necessarie per la formazione dei docenti e dei dirigenti per la didattica delle competenze e la loro valutazione, varando nuove norme uniformi nei diversi ordini di studi per la valutazione formale che comprenda, ai fini dell’ammissione all’anno successivo, anche le competenze nella valutazione delle discipline di riferimento; rendere obbligatoria la formazione e monitorare con attenzione il rispetto e l’attuazione da parte dei docenti delle indicazioni normative date.
Una sfida che il ministero dovrebbe raccogliere.
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