Riguardo agli studenti colpevoli di comportamenti gravemente indisciplinati, il ministro Giuseppe Valditara, in alcune recenti occasioni riportate dalle cronache, si è espresso contro le sanzioni che li allontanano per mesi da scuola, pronunciandosi, invece, a favore dei lavori socialmente utili.

Questi ultimi, ha aggiunto inoltre, dovrebbero provocare una sorta di “umiliazione”, che favorirebbe il cambiamento. Esaminiamo la questione.



Anzitutto il Dpr 249/1998, che è il regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti, già prevede la convertibilità delle sanzioni disciplinari “in attività in favore della comunità scolastica” (art. 4, c. 5), ma esse riguardano solo le sospensioni fino a 15 giorni, quelle minori che possono essere impartite dalla singola scuola, mentre nulla dice circa la convertibilità delle sanzioni più gravi, quelle cioè che superano i 15 giorni e devono essere deliberate dagli organi territoriali. In tal senso, le considerazioni del ministro esprimerebbero la volontà politica di colmare un vuoto, poiché per le sanzioni più gravi finora non si prevede alcuna trasformazione “in attività in favore della comunità scolastica”. Ma analizziamo la questione più in dettaglio.



È opportuno considerare, infatti, come la legge in vigore preveda dette attività e non i “lavori socialmente utili” di cui ha parlato il ministro. Non appare indebito, tuttavia, estendere il senso delle stesse, che sono “in favore della comunità scolastica”, a quello dei “lavori socialmente utili”. In questo caso, potremmo ritenere che anche la comunità cittadina, oltre quella scolastica, possa essere destinataria dei vantaggi derivanti dai lavori socialmente utili. Da questo punto di vista, le considerazioni del ministro appaiono tutt’altro che inappropriate.

Occorre tuttavia precisare che, quand’anche gli organi collegiali giungano a deliberare tali lavori in alternativa alla mera sospensione dalle lezioni, organizzarli appare tutt’altro che agevole.



Dal punto di vista della scuola, una tale organizzazione rappresenta un’ulteriore incombenza che sovraccarica, insieme alle altre numerose, il normale andamento della vita scolastica. Nella mia esperienza di dirigente, nell’ambito delle sanzioni inferiori ai 15 giorni, sono spesso ricorso alla collaborazione con associazioni di volontariato del territorio, dedicate al sostegno di alcune forme di disabilità o alla Caritas, in particolare nei servizi di mensa per i bisognosi. Le attività svolte presso quelle organizzazioni sono state preziose per i ragazzi, che hanno conosciuto realtà dove la diversità e i bisogni presentano una cogenza inusuale, realtà precedentemente ignorate. Penso, diversamente, che altre attività più simili ai tradizionali lavori, quali ad esempio l’imbiancatura dei muri sporchi di un’aula, risultino più complesse, poiché si richiede la costante presenza di un docente, per il valore didattico di quell’esperienza e, al contempo, l’adozione di tutte le norme di sicurezza (guanti, occhiali protettivi, particolari impalcature per il lavoro in altezza, ecc.).

Infine, è opportuno precisare che, pur condividendo lo spirito educativo sotteso alle considerazioni del ministro, le sanzioni oltre i 15 giorni sono abbastanza rare e non rappresentano, a mio avviso, un problema centrale della scuola. Resta da capire perché il tema sia stato posto all’attenzione dell’opinione pubblica in questa fase di abbrivio della politica scolastica del nuovo governo.

Circa la questione dell’umiliazione sollevata dal ministro, ho qualche perplessità sull’uso del termine e l’alone semantico che esso innesca. Ad esempio se, come suggerisce il dizionario Treccani, esso comprende tra i suoi significati quello di “mortificazione” o quello di “atto di sottomissione pieno di umiltà e ossequio”, ho l’impressione che si esorbiti rispetto alla missione educativa che la scuola può compiere. Viviamo in una società sostanzialmente libertaria, nella quale i cambiamenti individuali riposano sull’autonomia e sulla volontà della persona. L’umiliazione potrebbe non inficiare queste caratteristiche soggettive, perché il cambiamento richiede sempre una riflessione e un’adesione personali, ma l’azione di umiliare non sarebbe comunque accettabile, perché implicherebbe un intervento intenzionale, da parte della scuola, come se quest’ultima dovesse realizzare una sorta di irrisione rispetto al colpevole di comportamenti gravemente indisciplinati.

Vi sono, invece, delle condizioni che contribuiscono al cambiamento personale, o quanto meno innescano l’avvio di esso, che hanno a che fare con il sentimento di vergogna, il quale nella società odierna pare progressivamente scomparso. La vergogna, diversamente dall’umiliazione, non comporta una situazione scientemente provocata, ma deriva dalla riprovazione degli altri. Essa infatti è un sentimento sociale, forse quello sociale per eccellenza, e la si prova anche con delle manifestazioni fisiche, quali il rossore del volto o i segni dell’imbarazzo, quando indebitamente è stata violata la sfera di ciò che definiamo pudore oppure, e questo è il caso che ci riguarda, quando la persona interiormente avverte la risonanza del rimprovero degli altri per quello che ha fatto. È sufficiente perché si provi vergogna che la scuola sia molto netta nello spirito di condanna degli atti di indisciplina (che non deriva dal numero dei giorni di sospensione), tanto più se essi sono gravi. La forza di una tale riprovazione, che si radica nell’etica collettiva di una comunità scolastica, rende possibile l’attivazione di un tale sentimento. A mio avviso, è proprio su questa dimensione psicologica che si può costruire il cambiamento personale e il recupero degli alunni.

La vergogna è un sentimento in declino, nella società contemporanea, dove talvolta il cattivo comportamento invece di essere considerato come un ostacolo alla vita sociale rappresenta una sorta di testimonianza positiva della determinazione e del protagonismo individuali. Nelle sanzioni di sospensione sono implicite le condizioni di vergogna le quali, a mio parere, non debbono essere rimosse. Se le parole del ministro avessero avuto questo senso, sarebbero state più convincenti.

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