Il mondo dell’accademia, della scuola e del lavoro sta sottoscrivendo il Manifesto per la Filosofia. Il Manifesto intende risvegliare l’interesse circa l’importanza della filosofia nell’istruzione e nella formazione delle nuove generazioni. Ospitiamo l’intervento di un professore, tra i primi firmatari del Manifesto.
“La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”. Con questa celebre affermazione Hegel intende mettere a fuoco quale sia il compito più faticoso, e al tempo stesso ineludibile, a cui la filosofia è da sempre e incessantemente chiamata: rendere ragione del proprio tempo, inteso sia in chiave esistenziale sia in chiave storica. Connettere individuo e mondo, e viceversa: ecco dunque il segreto del fascino della filosofia, sapere – come ci ricorda Nietzsche – umano, troppo umano e al tempo stesso capace di restituirci una visione della realtà – per dirla con Spinoza – sub specie aeternitatis, sotto l’aspetto dell’eternità.
Non posso dunque che accogliere con gioia e orgoglio la sfida lanciata dal Manifesto per la Filosofia, promosso e lanciato pochi giorni fa da Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia: mi unisce a loro la passione e l’impegno per il quotidiano insegnamento della filosofia nella scuola superiore.
In un’epoca, come la nostra, caratterizzata da una frenetica e talvolta avulsa complessità, e che sempre più spesso manifesta preoccupanti segnali di disumanizzazione, l’insegnamento della filosofia rappresenta, attraverso la pratica quotidiana del linguaggio, del confronto e del dialogo, un baluardo di resistenza e al tempo stesso una bussola per – parafrasando Kant – “orientarsi nel pensiero”, alla luce di quelli che sono eterni bisogni della ragione umana: chiarezza della domanda e incisività della risposta.
Non si tratta tanto di insegnare a “battagliare a parole” attraverso l’artificio retorico, da cui la buona filosofia rifugge e da cui mette in guardia, bensì di abituare le vivaci e brillanti menti dei giovani al pensiero dialettico, alla pratica dell’argomentazione e del negoziato concettuale, all’interrogazione dell’universo dei significati possibili della realtà attraverso inediti ma rigorosi intrecci di significanti.
Del resto nessuna speculazione filosofica, che intenda davvero incidere sul nostro tempo, riportando al centro del dibattito pubblico questioni essenziali su temi politici, economici, sociali, culturali, può fare a meno di presentarsi come prassi, come attività che operi in chi la pratica un profondo risveglio della coscienza e una presa di distanza da luoghi comuni, pensieri dominanti, disincantati inviti al disimpegno.
Con fierezza, firmando il Manifesto per la Filosofia, dico no al disimpegno, al “riflusso nel privato” si sarebbe detto qualche decennio fa, in nome di una battaglia per la quale – me lo insegnano ogni giorno le mie alunne e i miei alunni – vale spendersi quotidianamente, se necessario sino allo stremo.
La questione, dunque, non è tanto tutelare una gloriosa tradizione di studi e di studiosi con spirito antiquario o monumentale, come si trattasse di una specie in via di estinzione che merita cure e protezione, quanto piuttosto dire al mondo che senza filosofia, o con una filosofia marginalizzata dalla scuola e dalla società, o ancor peggio ridotta a narcisistica pratica elitaria, saremo tutti meno umani, meno consapevoli di noi stessi e di quello che intorno ci accade, meno pronti all’ascolto della parola e del desiderio dell’altro, chiunque esso sia.
E se ciò è vero, non si riesce davvero a cogliere lo spirito del legislatore che negli ultimi decenni ha ridotto lo spazio vitale alla filosofia, tagliando ore dagli ordinamenti liceali e ostinandosi a non introdurla negli altri ordini di scuola superiore (tecnici e professionali), pur essendo state approntate negli anni 80 alcune bozze di sperimentazione.
Viene da pensare che si tratti di un disegno politico finalizzato a spuntare nei giovani, futuri elettori, le armi dell’analisi e dell’interpretazione della realtà: insomma, un po’ di ignoranza per tutti, a buon mercato. E da che mondo è mondo ignoranza, deresponsabilizzazione, incapacità di scelta, disumanità vanno a braccetto. E se anche tutto ciò non rispondesse ad alcun disegno, quale alternativa resterebbe a spiegare il disprezzo manifestato verso la filosofia e la malcelata convinzione della sua inutilità? Forse sciatteria legislativa, miopia politica o una lettura superficiale della straordinaria complessità della nostra epoca? Ancora peggio.