Il Liceo Classico Alessandro Manzoni di Milano, uno dei luoghi sacri della contestazione studentesca, è stato occupato. “Ci togliete la scuola? Noi ce la riprendiamo” è lo slogan dell’occupazione, che vede gli studenti presidiare gli spazi rispettando le regole anti-Covid. È un gesto su cui riflettere, prima di tutti i vari “se” e “ma” con cui l’opinione pubblica si sta ponendo di fronte a questo fatto.
Nell’occupazione del Manzoni è presente una domanda che molti studenti oggi hanno, quella di tornare a scuola, non nel senso di tornare in uno spazio fisico, ma nel senso più profondo del termine, quello di riprendere un rapporto umano a tu per tu, in cui guardarsi in faccia e in cui essere guardati. Ci devono essere tutte le precauzioni che oggi sono necessarie, ma la “realtà” della relazione, un legame senza del quale non vi è percorso di conoscenza, viene prima e la Dad – come soluzione emergenziale – ha svelato la sua necessità e il dramma della sua mancanza.
Al Manzoni, stando a quello che sappiamo, non è esplosa la rabbia, né alcun dettame ideologico–politico, come altre volte in passato. Sta semplicemente prendendo forma la domanda di ritornare nella propria classe con compagni e insegnanti per poter continuare un cammino interrotto.
La domanda è seria. Occorrono adulti – sia tra i docenti, sia nella politica – che prendano sul serio il bisogno, rivendicato dagli studenti, di un rapporto in presenza.
Le modalità possono essere diverse: già vi sono dirigenti delle scuole superiori che hanno avuto grande attenzione a questo bisogno e hanno fatto in modo che una volta o due alla settimana gli studenti potessero rientrare nelle loro classi. Non basta. Adesso chi governa la scuola deve lasciare vera autonomia agli istituti, perché possano trovare le modalità migliori per restituire agli studenti la loro scuola.