Marcella finalmente ce l’ha fatta. Quest’anno è entrata nella nuova scuola per il suo anno di straordinariato. Non so se dice ancora così. Insomma, è il suo anno di prova, quello che la porterà a quel ruolo che tanto sperava di conquistarsi dopo anni di supplenze, graduatorie, crediti da aggiungere alla laurea, concorsini e concorsoni.



Il mio amico Giuseppe aveva conosciuto Marcella qualche anno fa, in una sala professori che, come a ogni inizio d’anno, era piena di facce nuove: supplenti nominati su cattedre vacanti o pensionamenti, in attesa che arrivassero i legittimi proprietari. Che poi spesso non arrivano. E così Marcella è rimasta un anno intero nella scuola di Giuseppe. Che fu subito incuriosito da lei che, proprio quel primo giorno, stringeva nella mano uno strano righello. Dopo qualche tempo, quando ci fu più confidenza tra loro, Giuseppe glielo chiese cos’era quell’aggeggio che teneva sempre con sé. Non fu facile, ma la confessione arrivò. E lasciò il mio vecchio amico molto divertito e stupito. Proprio il giorno della sua laurea, una compagna di università aveva regalato a Marcella quello strano righello con un quadratino che sembrava una vecchia pellicola per le fotografie. “Basta premere la pellicola tra l’indice e il pollice – le disse la sua amica – per controllare sulla scala del colore il tuo grado di stress!”. Non ci credeva, ma volle provare. E qualche istante prima della discussione della tesi di laurea, il quadrato non poteva fare altro che restare nero come l’inchiostro. Anzi, non ci rimaneva sopra neanche l’impronta digitale, come se Marcella fosse un fantasma! Ma subito dopo, dopo che i professori le avevano regalato la lode, Marcella riprovò: il quadratino diventò prima giallo, poi verde, poi blu come un cielo sereno. Funzionava, allora.



Ecco, confessò Marcella a Giuseppe: ogni volta che arrivo in una scuola provo a vedere di che colore diventa il quadrato. Ma è rimasto sempre nero. Nero nella scuola in cui il preside stava ogni mattina all’ingresso e, subito dopo che i ragazzi erano entrati nelle aule, cominciava a girare nei corridoi per vedere se qualche professore aveva bisogno di una mano per tenere il silenzio. Naturalmente a lui non importava se gli alunni erano solo indisciplinati o se stessero facendo un importante lavoro di gruppo. Era solo rumore. E andava fermato. Così come andavano fermati gli alunni che si agitavano troppo nei corridoi durante l’intervallo. Era questa la scuola?



Certo non era quello che Marcella desiderava, come confermava il suo righello perennemente nero tra le mani. Così come rimase nero quando arrivò nella scuola in cui il preside appariva soltanto quando c’erano i collegi docenti e i consigli di classe. Poi spariva: in un altro plesso, o addirittura in un’altra scuola in cui era reggente. Chi l’aveva mai visto tra i ragazzi o gli insegnanti? Passava da un ufficio all’altro, viveva della luce dello schermo del suo pc. Analizzava circolari, emanava regolamenti. Era quella la scuola in cui voleva finalmente avere il suo bel posto fisso la prof Marcella?

Un altro anno, finalmente, le sembrò che qualcosa potesse cambiare. Persino il colore del suo righello. Quando entrava alla prima ora, trovava il preside sulla porta d’ingresso: salutava ciascun alunno per nome. Buongiorno Carletto, buona giornata Matteo. E così con tutti, ma proprio tutti gli alunni. E non ne sbagliava uno. Marcella stringeva il righello e finalmente la finestra nera si accendeva come un cielo sereno. Ma naturalmente durò poco. Arrivò il titolare, quell’anno. E lei di nuovo in giro, da un’altra preside. Che il più delle volte non stava nemmeno dentro il suo ufficio. Esiste la scuola? Si domandava sempre più tristemente Marcella.

Ma adesso che Marcella sta nella scuola che potrebbe diventare la sua, ha trovato una risposta alla domanda. Ha capito che aveva ragione Giuseppe quando le diceva che la scuola non esiste. Quando è entrata nella sua prima media e ha letto l’ennesimo passaggio in cui il piccolo principe critica i grandi perché non sono in grado di ascoltare i bambini, un suo alunno le ha chiesto di scrivere. “Anche lei, prof, deve scrivere la sua riflessione: è un’adulta, come risponderebbe, come si difenderebbe davanti al piccolo principe?” Incastrata, messa con le spalle al muro. Eppure proprio in quel momento lì il quadratino del suo righello è diventato più chiaro di sempre.

Giuseppe mi ha raccontato che Marcella l’ha buttato via. La scuola, se esiste, sono quei piccoli prìncipi che ha davanti. La loro domanda. E la scuola è lei, chiamata a rispondere. Almeno per cominciare.

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