Le reazioni alla presentazione del Rapporto Invalsi 2021, per quanto non molto ampie e destinate presumibilmente ad esaurirsi in tempi non lunghi, dimostrano che queste prove sono oramai un punto di riferimento accettato ed autorevole, anche se effettuate come quest’anno in una situazione molto sfidante.
Un’analisi più approfondita potrà essere effettuata alla presentazione del Rapporto completo, ma fin da ora possiamo cominciare una volta tanto con le buone notizie. L’esame di Stato conclusivo della scuola secondaria superiore, come siamo stati costretti a pomposamente chiamarlo da qualche anno, è definitivamente bollito.
Da quando i miracoli dell’informatica ci hanno permesso di conoscere i dati reali non solo del numero dei maturati, ma anche dei numeri delle votazioni – cioè da poco più di dieci anni – era chiaro che non si trattava di cosa seria. Per anni si è voluto chiudere gli occhi non solo e non tanto sui numeri delle promozioni, ma anche e soprattutto sul fatto che la Calabria (o alternativamente la Puglia) era sistematicamente in cima al palmares e la Lombardia in fondo. Spiace dover ripetere che si trattava e si tratta di un palese rovesciamento della situazione reale, ipotesi che da da tre anni ha infine avuto il supporto dei dati Invalsi relativi alle prove di quinto anno, quello appunto dell’esame di Stato. Non a caso ci sono voluti anni per abbattere il Muro di Berlino che impediva la realizzazione di quest’ultimo livello di somministrazioni, non certo per il disinteresse o l’ostilità dei diretti interessati, che sono accorsi tutti a sottoporsi alle prove ed a scaricarne in via riservata ma utilizzabile i risultati. Ci vorrà qualche anno, visto il tasso di innovatività della società italiana, ma ben presto si comincerà ad utilizzarli.
Ma quale è la buona notizia? Per il secondo anno i voti sono andati alle stelle (sempre nello stesso ordine regionale, attenzione!) probabilmente a causa delle forme sempre più semplificate dell’esame, che è sostanzialmente un ossimorico esame interno privo perfino dei riscontri oggettivi delle prove scritte. Ed il ministro Bianchi nella sua infinita saggezza ha buttato lì l’idea di mantenere lo stesso format anche in futuro.
Intendiamoci, una forma di prova finale ci vuole per motivi psico-didattici innanzitutto e lo testimonia il batticuore che molti candidati testimoniano in proposito, anche perché, nella smania di render loro la vita sempre più facile – salvo andare a sbattere dopo –, abbiamo levato tutte le prove intermedie, salvo quella della terza media. Ma da qui a dare al titolo, ma soprattutto al voto, un significato importante ne corre… Ed infatti molte università, quelle sfidanti soprattutto, anticipano le prove di ammissione, il privato non se ne fa molto (e questo non è bene) mentre rimane qualche significativa nicchia di privilegio all’interno del mondo dei concorsi pubblici. Oltre che la permanenza simbolica – ma si sa che i simboli contano – del premio in denaro istituito dal ministro Fioroni per i voti apicali e che nelle stanze di viale Trastevere hanno eternalizzato.
Buone notizie dunque: in Italia le riforme raramente si fanno a viso aperto, spesso è il corso degli eventi a determinarle in una sorta di eterogenesi dei fini. Forse il Covid ha riformato finalmente la maturità.
E la povera Dad? Risulta sempre più chiaro che il grande mito del secondo Novecento di riformare e raddrizzare le società umane con la (sola) istruzione era appunto un mito. La scuola riflette ed esprime l’antropologia delle società in cui agisce, con i loro lati positivi o negativi. Tutti si domandano perché in Trentino i risultati non sono peggiorati, anzi… eppure anche lì hanno fatto la Dad! Forse è perché l’hanno fatta davvero e l’hanno fatta tutti. Se si ricordano le statistiche di Save the Children si avrà ben presente che le regioni nelle quali le scuole sono state chiuse di più su decisione locale sono anche quelle che avevano i tassi di Covid più bassi. E naturalmente sono anche quelle nelle quali i risultati, già di basso livello, si sono vieppiù inabissati. Il modo più o meno serio con cui è stata fatta o non fatta la Dad, così come la misura in cui si sono chiuse o non chiuse le scuole ha evidentemente influito in modo decisivo sui risultati degli studenti molto più del medium considerato in se stesso. Poi, si intende, quanto viene detto sui limiti di preparazione e predisposizione degli insegnanti e su quelli di motivazione e concentrazione degli studenti è vero ma…
È vero che l’alzarsi dell’età peggiora le cose, ma non c’è bisogno di arzigogolare su questo: tutti conosciamo la differenza nell’atteggiamento verso i “grandi” – fra cui insegnanti e scuola ovviamente – dei bambini di seconda elementare e degli “adolescenti” di quinta superiore. E poi quanta demagogia sulle risorse economiche: i bisogni ed i consumi non sono mai diretta espressione delle risorse a disposizione perché il filtro sociale è potente se non prevalente (si ricordi il buon Marx ed il concetto dei bisogni”storici”).
L’Italia è in posizione apicale fra i paesi possessori di smartphone, ma non di computer adatti alla Dad che testimoniano peraltro di un diverso approccio all’uso dell’informatica: queste sono appunto scelte culturali delle società e non il mero risultato di quanto si ha in tasca. Se una società non attribuisce importanza allo studio, alla cultura, all’istruzione, o perché vive d’altro o perché ritiene di averla incorporata grazie alla sua storia ed all’ambiente in cui vive, ne trarrà le dovute conseguenze. Irridere, se non colpevolizzare, quell’avanguardia degli insegnanti – più o meno numerosa, non lo si sa, grazie al rigoroso rispetto della privacy praticato dal Miur in proposito – che si è data da fare seriamente, pare proprio l’ultima cosa da fare.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI