Ho letto sul Fatto Quotidiano che a Milano alcuni ragazzi delle superiori hanno organizzato una lezione all’aperto, sotto la neve, per chiedere di tornare a scuola al più presto. Anni fa, commentano gli studenti, “quando c’era la neve volevamo stare a casa e ora invece siamo qui a chiedere di tornare in classe, anche se dovremo andarci a piedi”.



Mi è piaciuta molto l’iniziativa di questi giovani: quattro tavoli, qualche panca, una tenda e libri aperti, con indosso piumino, cappello e mascherina pur di studiare insieme. Tra loro qualche ardito docente.

Andare a scuola. È questo quello che vogliono e chiedono. Andare a scuola anche a piedi, per esser certi di evitare gli affollamenti sui mezzi e assicurare spostamenti in sicurezza.



Camminare mezz’ora, e se serve un’ora, per arrivare a scuola non può che essere un guadagno: si entra in classe svegli, rilassati e arricchiti della compagnia di chi si incontra per strada.

Andare a scuola a piedi? Lo faceva Laura Ingalls, partendo dalla sua mitica Casa nella prateria; lo faceva Pinocchio, che per strada ha imparato a distinguere buone e cattive compagnie ed è cresciuto; lo facevano i nostri nonni, i nostri genitori e un po’ lo abbiamo fatto anche noi.

Ma ai nostri figli, alle nuove generazioni, non è stato mai proposto. Li abbiamo sempre lasciati davanti al cancello, e magari siamo stati anche tentati di oltrepassarlo per assicurarci che tutto fosse a posto.



Eppure, in tante zone del mondo, bambini ancora molto piccoli e non liceali, attraversano strade e campi, certamente meno sicuri dei nostri per andare ad imparare.

Guadagnarsi la scuola, uscire di casa con una meta chiara, da raggiungere in tempo utile, orientandosi e districandosi tra imprevisti e difficoltà. Sarebbe un’enorme opportunità di crescita. In poche settimane i nostri studenti migliorerebbero visibilmente tono muscolare e capacità di “stare al mondo”. Se avessi la loro età starei anch’io sotto la tenda, a studiare e a dire con fermezza che la scuola è scuola solo se assicura il rapporto studente-docente, veicolo privilegiato per ogni acquisizione.

Il “corpo a corpo” è condizione essenziale alla realizzazione di quel mercato di domande e offerte che è l’insegnamento; è condizione imprescindibile perché lo studente – a modo suo – raccolga ed elabori le materie prime – prima che materie scolastiche – che il docente, ancora studente, aveva raccolto, seguendo le tracce del gusto e della passione dei suoi maestri.

Credo sia questo il senso della richiesta degli studenti che studiano sotto la neve. Meglio due ore di strada per tre di lezione, “corpo a corpo”, che cinque ore soli, in casa, davanti ad uno schermo, tutti ben distanziati.