Il dibattito sui banchi ha aspetti surreali. Innescato dalla ministra Azzolina quando ha mostrato in foto banchi mobili in conferenza stampa con il premier Conte e poi quando è andata alla trasmissione In Onda de La7. Telese e Parenzo, tra il serio e il faceto, l’hanno fatta sedere su un banco a rotelle facendole notare che sul piano d’appoggio ribaltabile non ci stava il vocabolario di greco. Una valanga di dichiarazioni, articoli, prese di posizione anche accese. Insomma in Italia la buttiamo sempre in caciara e una volta terminato il clamore, tutto torna come prima. Chi parla di scuola spesso non è più entrato in un edificio scolastico dal tempo della sua maturità.



Eppure la scuola avrebbe bisogno di tantissime cose, soprattutto di tanta manutenzione ordinaria e straordinaria, che nessuno fa. La norma stabilisce che la cura degli edifici e degli arredi spetta ai comuni per il primo ciclo (dall’infanzia alla ex media) e alle province per le superiori. 

Dal 1990, alla fine della fase espansiva dell’istruzione, la spesa per gli edifici scolastici si è sempre ridotta perché gli enti locali a fronte di una diminuzione della popolazione studentesca cominciarono a diminuire gli investimenti, non tenendo conto che le strutture diventavano sempre più vetuste.



Come sempre in Italia tutto si muove sull’onda emotiva e come abbiamo sostenuto più volte è l’emergenza a muovere i media e poi la politica. Il crollo della scuola elementare di S. Giuliano di Puglia nel 2002, in cui muoiono 27 bambini e un’insegnante, porta allo stanziamento di 273 milioni e alla verifica di tutti gli edifici, ma le procedure vanno avanti molto lentamente. Nel 2007 crolla a Rivoli un controsoffitto; uno studente perde la vita e altri studenti rimangono feriti. Il 2009 vede il terremoto dell’Aquila con il dramma della casa dello studente e 309 morti totali, mentre nel 2012 il terremoto in Emilia danneggia oltre 500 scuole.



L’anagrafe degli edifici scolastici promossa nel 2009 finisce nel dimenticatoio e in quell’anno solo il 10% delle strutture viene verificato. Normative e leggi varate a più riprese, stanziamenti ad hoc, proroghe e leggi stralcio fanno arrivare al 2012, ma il blocco della finanza pubblica per la crisi del debito sovrano paralizza ogni iniziativa.

L’attenzione agli edifici scolastici ricomincia nel 2015 con il governo Renzi; si stanziano ulteriori fondi, l’Agenzia Italia Sicura si occupa anche delle scuole con 600 progetti. Nel 2017 vengono ristrutturate 7mila scuole su oltre 42mila edifici, raggiungendo, secondo Elisabetta Tola, esperta del settore, il 15% del totale.

Giuseppe Conte appena insediato chiude Italia Sicura e la gestione degli edifici torna al Miur e agli enti locali. Nel 2019 Legambiente in una lettera aperta al governo italiano scrive che “quasi il 40% degli edifici ha bisogno di interventi di manutenzione straordinaria urgente; in oltre l’80% non sono state realizzate indagini per verificare la sicurezza dei solai, oltre il 60% degli istituti non dispone del certificato di agibilità e più del 76% delle amministrazioni non ha effettuato le verifiche di vulnerabilità sismica”. Ora l’anagrafe scolastica è pubblicata sul sito del Miur e secondo alcuni media entro il 2033 dovrebbero essere spesi poco meno di un miliardo e mezzo di euro per le scuole.

Nel frattempo c’è stata la pandemia da Covid-19, con tanti problemi oltre le questioni strutturali, a cui l’Unione Europea ha risposto con il New Generation Fund, di cui una bella fetta dovrebbe essere spesa nel sistema d’istruzione. 

Il presente però è ancora legato all’impasse degli anni scorsi, ai mali della struttura politica amministrativa con tempi di decisione lentissimi. La paura è che la scuola passi ancora in secondo piano in attesa di una nuova tragedia. Uno studio della Fondazione Agnelli fa il punto della situazione a partire dai problemi strutturali, antincendio, sostenibilità e architettura per una nuova didattica. Il rapporto fa notare che è previsto entro il 2030 un calo di 1 milione di studenti, per cui, come 30 anni fa, gli stanziamenti potrebbero variare al ribasso. Non ci saranno nuove costruzioni, ma gli sforzi dovranno essere indirizzati nella ristrutturazione di quelli esistenti. 

Sin dal prossimo settembre c’è però bisogno di una miriade di piccoli e medi interventi ordinari che possano migliorare la vita quotidiana di insegnanti, personale e studenti. Oltre ai famosi banchi e alle sedie spesso sbrecciate, nelle aule mancano infissi adeguati antirumore e a norma, sistemi di protezione dalla luce esterna, tende nuove e pulite, areazione che renda la vita di una classe sopportabile, impianti di riscaldamento che non facciano bollire o congelare gli ospiti. Sempre nelle aule mancano gli appendiabiti e i porta zaini in modo che gli studenti non siano costretti a usare le spalliere delle sedie e a inciampare ogni volta che si muovono. Servono porte che si chiudano, con spessori antirumore e serramenti efficienti, che non permettano l’intrusione e i furti quando la classe si assenta. L’illuminazione ha bisogno di diffusori a norma, le cui luci siano uniformi e senza oscillazioni o fruscii, da sostituire in tempi brevi (non mesi o anni), con interruttori verificati periodicamente e placche di copertura pulite e fisse. 

Se si passa ai bagni gli interventi sono altrettanto essenziali: ci sono piastrellature antidiluviane, wc alla turca, cassette degli sciacquoni sempre inefficienti, infissi e serramenti spesso rotti o fatiscenti. L’elenco potrebbe allungarsi a dismisura e il lettore potrebbe divertirsi per completare il piè di lista. Il problema alla fine cade sui manutentori. Le province e i comuni ne hanno sempre meno e con gli appalti a ditte esterne tendono a risparmiare. In questo modo i dirigenti scolastici dopo aver costatato che le squadre comunali vengono con mesi di ritardo, chiedono ai collaboratori maschi di fare i piccoli lavori, stipulando assicurazioni, con procedure al limite se non fuori norma.

È il fai da te che cura il fai da te. Anche nelle piccole cose, la scuola può funzionare così?