La discussione che si è innescata sul merito (in merito al “merito”, dovrei dire) a seguito del cambio di denominazione ministeriale, provoca un certo straniamento.

Il merito, infatti, rappresenta un’idea che dovrebbe suonare favorevolmente alle orecchie di chiunque, se non altro considerando le alternative e cioè l’assenza di merito o addirittura il demerito. Ma, come sempre accade in politica, le parole assumono un risvolto ideologico che sopraffà il buon senso. Dunque, per non perdere l’aggancio con la realtà, ragioniamo concretamente.



Nonostante alcune difficoltà a definirlo, noi tutti conosciamo il merito. Infatti, se qualcuno di noi deve sottostare a un intervento medico, fosse anche per un’unghia incarnita, preventivamente si informa su chi sia il chirurgo. Vuol capire, in altri termini, se quest’ultimo merita fiducia. Tutte le volte che ci avvaliamo delle attività altrui (cioè, più o meno, sempre), vorremmo avere a disposizione i migliori professionisti e ciò vale anche nel caso di lavori più modesti. In conclusione, ognuno di noi possiede una comprensione intuitiva e pratica di ciò che è il merito, che si riscontra quando un lavoro è ben fatto.



Le scuole ovviamente non sfuggono a questa logica che si articola specificamente in due ambiti: quello dei risultati degli alunni, dove il concetto di merito trova anche un elevato riconoscimento costituzionale, e quello del servizio, cioè del rendimento delle istituzioni scolastiche a fronte dell’utenza.

Circa il primo aspetto, i dati delle ricerche internazionali e dell’Invalsi, purtroppo, sono complessivamente negativi, se si considera il numero di coloro che abbandonano la scuola senza aver conseguito il titolo oppure la bassa qualità delle competenze acquisite dagli alunni al termine delle scuole medie e di quelle superiori. Esiti negativi che poi si riverberano nella vita sociale e lavorativa degli individui, ingenerando circoli viziosi i cui effetti ricadono sui figli.



Potremmo concludere osservando che lo scadente livello dei nostri alunni dovrebbe rappresentare un segnale di allarme per la politica e personalmente ricordo che ciò avvenne in Germania, vent’anni fa circa, quando l’opinione pubblica si indignò allorché si diffuse la notizia che i risultati di una nota ricerca internazionale (Ocse-Pisa) ponevano i ragazzi tedeschi più o meno sotto la media di quelli dei Paesi più evoluti.

Ma ciò accadde in Germania; da noi, invece, domina la rassegnazione. Anche per questo pare ragionevole, adesso, puntare sul merito, che dovrebbe improntare qualsiasi riforma scolastica.

La questione fondamentale, tuttavia, non è tanto quella degli alunni, perché è noto che le scuole debbano selezionare i migliori e l’attesa sociale è che ciò avvenga in maniera oggettiva e imparziale, offrendo a tutti le stesse possibilità. Il tema centrale che muove gli animi e provoca ragionamenti surreali è, invece, quello del rendimento delle scuole ovvero della qualità del loro servizio, sul quale l’opinione pubblica non dispone di molti strumenti, al contrario di quanto avviene, ad esempio, in Gran Bretagna, dove esistono delle vere e proprie graduatorie, le School league tables.

Tuttavia la questione è di primaria importanza e i genitori più attenti, anche da noi, si informano sui docenti delle varie sezioni, per individuare i migliori consigli di classe.

In sostanza, anche nelle scuole la logica del merito funziona sempre. Essa, tuttavia, non viene riconosciuta esplicitamente, perché ciò significherebbe mettere in crisi il sistema delle graduatorie per le supplenze, basato sul presupposto che tutti i docenti, in quanto laureati, abbiano una eguale preparazione (cui dovrebbe seguire un pari impegno didattico).

Un tale ragionamento vale anche per i dirigenti, che svolgerebbero un ruolo paritetico per capacità professionali e competenze, proprio in quanto dirigenti.

Ovviamente i sindacati della scuola non vogliono che una qualsiasi riforma basata sul merito crei delle distinzioni. Ne deriverebbe un crollo della prospettiva egualitaristica e, con essa, una drastica riduzione delle tessere sindacali.

Il ministero, dal canto suo, ha trovato conveniente accondiscendere a questa specie di “governo sindacale” della scuola, potendo mantenere inalterato una sorta di centralismo nella gestione del personale. Ma se i risultati degli alunni sono quelli che abbiamo sopra menzionato, gli interrogativi sul rendimento delle scuole e la qualità dell’insegnamento sono del tutto legittimi.

A mo’ di risposta, si paventa, presso l’opinione pubblica, la prospettiva di una gestione clientelare delle supplenze da parte dei presidi. Il pericolo, che certamente esiste (ma ciò non riguarda solo l’istruzione), potrebbe essere superato affidando la scelta dei supplenti al Comitato di valutazione, che è un organo interno alle scuole, eletto legittimamente dal Collegio dei docenti e che soprassiede all’anno di prova degli insegnanti neo-immessi in ruolo.

Occorrerebbe inoltre che si esercitasse, come contrappeso alle scelte delle scuole autonome, una loro valutazione complessiva, attuata dall’Invalsi o altri soggetti terzi. Una valutazione che dovrebbe muovere dalla responsabilizzazione dei presidi stessi dal punto di vista dei risultati e che preveda anche la loro rimozione, qualora essi siano inadeguati. Ma una parte consistente dei sindacati, con l’appoggio di alcune forze politiche, vorrebbe addirittura abolire l’Invalsi, in maniera tale da eliminare il termometro e ignorare la malattia.

Certamente dietro al merito può esserci molta ideologia, ma il tentativo di abolire il merito stesso non ha alcun fondamento. Attendiamo il ministero alla prova dei fatti.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI