Vien da trasecolare a leggere le levate di studi dei Mélenchon nostrani sul merito. Ai tempi della giovinezza di noi babyboomers il merito era una bandiera della sinistra. Serviva ad emancipare dai lacci di una società conservativa e nepotistica i “capaci e meritevoli” della Costituzione ed anche alla società per utilizzare al meglio le sue risorse umane. Ora ci troviamo con una destra che ne fa lei una bandiera, magari andando sopra le righe. Perché anche i nomi dei ministeri sono importanti, ma quel che conta sono i fatti.



Nei fatti, la questione merito nella scuola ha due aspetti: diversificazione dei percorsi degli insegnanti ed atteggiamenti-pratiche nei confronti degli studenti “capaci e meritevoli”. L’annuale seminario Invalsi che si è tenuto a Roma dal 27 al 30 ottobre e che presenta ricerche ed approfondimenti a partire dai dati che raccoglie nelle sue rilevazioni si è occupato ovviamente dei risultati degli studenti. Al termine il presidente Roberto Ricci ha sintetizzato gli orientamenti dell’Istituto in due sostanziali direzioni.



La prima, offrire a tutte le scuole la possibilità di avere informazioni precise sui loro studenti “a rischio” sotto il livello 2 e perciò in dispersione “implicita” ovvero occulta. Il primo passo per interventi di miglioramento non alla cieca, anche al fine di non sprecare i cospicui finanziamenti del Pnrr. Dalla fine di agosto più del 70% delle scuole destinatarie dei fondi Pnrr ha scaricato queste informazioni, ma anche le altre lo hanno fatto nella misura fin qui del 25%.

L’altra direzione è un rafforzamento dei compiti di ricerca a supporto delle decisioni politiche – a tutti i livelli – che per loro natura devono operare delle scelte. Il grave stato degli apprendimenti in Italia impone di ragionare a mente aperta, anche liberandosi da presupposti ideologici non supportati da evidenze, che si traducono in un danno per il sistema.



Le agenzie internazionali ed in primo luogo l’Ocse hanno negli ultimi 20 anni sostenuto, con tutta la loro capacità di moral suasion, la necessità di un’alfabetizzazione sempre più diffusa ed approfondita per mantenere e migliorare lo sviluppo mondiale, viste le tendenze ed i livelli dello sviluppo tecnologico. Per poter contare su tutti, l’equità nella formazione – cioè la possibilità che lo status economico-sociale non determini automaticamente i destini scolastici e perciò professionali ed in ultima analisi di status degli individui – è diventata l’obiettivo principale. E questo non solo per una questione di diritti dei singoli, quanto per l’opportunità che i sistemi utilizzino tutte le risorse a disposizione. Le società occidentali ricche hanno dunque dedicato negli ultimi decenni un’attenzione prioritaria, anzi quasi esclusiva, alla cosiddetta inclusione, che è stata vista come la via maestra per tendere verso l’equità. Donde la centralità o meglio l’esclusività del tema in ricerche ed interventi operativi, in particolare nel nostro Paese per le sue caratteristiche antropologico-culturali.

Nei primi test Pisa – il più significativo indicatore di quanto si muove a livello internazionale sul terreno istruzione – era in testa la Finlandia ed in generale i Paesi del Nord Europa, all’epoca molto inclusivi: basti pensare al tronco comune fino a 15-16 anni. Ma negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione che ha un po’ cambiato lo scenario. Nel secondo decennio di Pisa sono invece avanzate le tigri asiatiche (Singapore, Corea del Sud, etc.) che pure puntano ad innalzare significativamente il livello generale, nel quadro della loro spinta allo sviluppo economico.

Lo strumento fondamentale non sembra però essere la struttura dei sistemi né tanto meno l’inclusione ad ogni costo, abbassando i livelli generali, come a volte si ha l’impressione avvenga nell’Occidente che demonizza il merito. Emerge un forte impegno degli studenti ed anche naturalmente degli insegnanti, in senso quantitativo ma anche qualitativo, arrivando fino alla valorizzazione degli eccellenti, anche attraverso corsi o scuole apposite, soprattutto per il contributo che possono dare allo sviluppo delle loro società.

Poiché il mestiere di Ocse è cogliere i segni dei tempi, nel dicembre 2021 è stata dunque rilasciata una ricerca sui Gifted, cioè sui ragazzi dotati, intesa la definizione in senso lato perché oggi non si usa solo il test QI in proposito. È una questione di diritti: secondo formulazioni ormai accettate a livello europeo, anche questi studenti hanno diritto di essere accompagnati in un percorso personalizzato. Ma non solo. Il fatto è che i nostri Paesi largamente privilegiati dalla storia rischiano di esaurire le risorse ed i privilegi accumulati anche nel campo dell’istruzione e pertanto forse si comincia a pensare che occuparsi dei dotati, dei talentuosi, degli eccellenti non è un lusso ingiusto, ma un investimento necessario. È per questo che la polemica sul merito è masochista, oltre che discriminante.

Anche nel seminario Invalsi, l’analisi a livello internazionale e nazionale della povertà educativa e l’approfondimento dei modi per contrastarla è stato il tema maggioritario fra le relazioni presentate e che saranno disponibili a breve sul sito. Un piccolo esempio. Si è alla disperata ricerca – o almeno lo si dovrebbe essere – delle ragioni dei bassi risultati del Sud. C’è chi pensa ad antropologie mediterranee. Ma un ricerca di Bendinelli e Martini sui risultati della terza media è partita dall’assunzione, condivisa dalla ricerca internazionale, che i risultati degli studenti siano più condizionati dalla situazione economico-sociale della scuola e soprattutto della classe che dalla loro stessa situazione personale nel merito. I dati dimostrano da tempo – e questa ricerca ha approfondito e validato la tesi – che a Sud la segregazione sociale fra le classi all’interno della stessa scuola è alta, maggiore che al Centro ed al Nord e che questo influenza – quando avviene – i risultati in senso negativo.

Dunque bisognerebbe verificare come i dirigenti assegnano gli studenti alle classi: in modo casuale – randomizzato si dice – così da garantire classi varie nella composizione oppure se, magari sotto la pressione della società, continuano a creare classi di serie A, B, C etc. Forse anche questo contribuisce a creare una polarizzazione tipica di Paesi a basso livello di sviluppo come il Sudamerica ed abbassa il livello complessivo.

Ma anche il mestiere di Invalsi è quello di cogliere i segni dei tempi e perciò nel seminario è stata prevista una sessione sui talenti nel sistema scolastico, nella quale si sono cominciati a presentare i primi risultati dell’analisi dei livelli 4 e 5 alle prove, fin qui quasi totalmente ignorati nella ricerca e nel dibattito. Ciò che infatti rende insostituibile il lavoro dell’Istituto è la possibilità di trarre conoscenze sul misterioso sistema scolastico italiano attraverso un uso mirato della ricerca su una grande mole di dati. La ragione della situazione del Sud, la realtà della differenziazione di genere soprattutto nel campo scientifico ed ora chi sono gli eccellenti, soprattutto quando provengono da ceti sociali meno favoriti e vengono chiamati resilienti… sono solo alcuni dei campi in cui si potrebbe andare oltre alla “nasometria” degli opinion makers.

Per tornare al merito. Viene sempre tirata in ballo Lettera ad una professoressa. Ma se qualcuno si prendesse il disturbo di rileggerla (o di leggerla per la prima volta) scoprirebbe che i Gianni che aveva raccolto attorno a sé don Lorenzo Milani erano proprio i capaci e meritevoli – provenienti dai ceti, come si diceva allora, popolari – della nostra Costituzione.

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