Scorrendo i social e i siti sindacali, sono numerose le notizie relative all’esistenza, condizione e numero dei precari della scuola. Si rincorrono, del resto, anticipazioni sul relativo decreto, mentre giungono agli istituti insistenti e molteplici Messe a disposizione – Mav – sulle eventuali cattedre disponibili.



Senza intervenire sui sacrosanti diritti degli interessati, vorrei in questa sede proporre una riflessione su quanto avviene nella quotidianità della vita scolastica, considerando il versante degli studenti, dei docenti e dei dirigenti.

Questi ultimi non possono non avvertire l’esigenza di assicurare il servizio in classe e, dovendo anche tener conto delle responsabilità sul fronte della sicurezza, nervo scoperto della categoria, non possono non ricorrere a – pur precari – docenti, individuati secondo i criteri delle graduatorie.



Gli insegnanti che, grazie alla trafila burocratica, riescono a entrare in classe per un periodo più o meno breve si trovano a operare spesso con scarsa o nessuna preparazione concreta. Accade, quindi, che imparino a gestire il gruppo classe e ad affrontare le relazioni con gli allievi facendone esperienza diretta e adattando, grazie ai propri errori e al ricordo della propria esperienza sui banchi, metodo, contenuti e comportamenti.

Come non considerare, del resto, l’esultanza e il fragore con cui gli studenti accolgono la notizia e la presenza di un supplente, dato che nella loro percezione collettiva il tempo supplenza equivale a tempo libero non impegnativo? Cercheranno quindi di mantenerlo tale, sottraendosi allo studio e costringendo il docente ad accontentarsi di un po’ di disciplina e qualche approssimativo progredire del programma.



In questa situazione un incarico temporaneo è solo spreco di risorse e di tempo? Serve solo a diminuire i rischi che comporta una classe scoperta o a garantire punteggio e stipendio a chi non vuole o non può accedere all’insegnamento attraverso i concorsi, oggi drammaticamente pensati solo come riservati? In realtà, molto dipende dai soggetti che si trovano a vivere questa circostanza. Molto dipende dalla serietà delle persone coinvolte, innanzitutto i docenti e, poi, gli studenti.

Se, infatti, poco riesce a intervenire con efficacia il dirigente, che spesso, dopo la nomina, non interviene più se non dinnanzi a fatti eclatanti, il singolo docente può tentare approcci e modalità di lavoro più flessibili e accattivanti, più corrispondenti agli interessi e all’età dei giovani.

Sia come docente che come dirigente è possibile talvolta constatare – e a me è capitato – che ci siano persone e professionisti capaci ancora di affascinare e coinvolgere gli studenti. Essi si trovano sia fra i docenti stabili che fra i precari e sono quelli che propongono una cultura che cerchi di spiegare il mondo, offrendone una chiave di lettura. Sono adulti con cui confrontarsi e dialogare e che insegnano a discutere e a criticare.

In un corso di studi paludato e ripetitivo, un docente precario, magari più giovane e spregiudicato, può rappresentare una ventata di realtà, può far intravvedere un’ipotesi di percorso e di futuro a giovani che, svogliati e pigri, sono capaci di interloquire e relazionarsi con chi ha qualcosa da proporre.

C’è ancora da chiedersi: che fare per i docenti che abbiano bisogno di maturare e migliorare il loro percorso professionale? Un’opportunità potrebbe essere quella di proporre esperienze di tutoring e affiancamento in classe anche prima dell’incarico, ampliando e valorizzando il positivo emerso nelle Sis relativamente a questo aspetto.

Vedere un docente all’opera e poter interloquire con lui su metodo, comportamento ed esperienza è opportunità di imparare nel concreto, senza doversi gettare allo sbaraglio, come accade oggi.