Tempo di iscrizioni. In attesa di sapere se, nonostante la crisi economica conclamata, continuerà l’irresistibile ascesa dell’istruzione liceale, in particolare della sua parte “leggera”, e la conseguente altrettanto irresistibile discesa della formazione per il lavoro degli istituti tecnici e professionali, la pandemia sembra avere fatto un’altra vittima: il merito scolastico. Un istituto superiore milanese con fama di merito – il civico Liceo linguistico Manzoni – ha rinunciato ad inserire fra i suoi criteri di priorità in caso di esubero di iscrizioni i risultati di un test selettivo di conoscenze.
Non che in Italia la meritocrazia sia mai stata in grande spolvero a causa delle congiunte ideologie egualitaristiche che vi dominano. L’unico episodio significativo in proposito sembra essere stata la decisione nei primi anni duemila del ministro Fioroni di assegnare un premio pecuniario ai migliori risultati dell’esame di maturità, iniziativa non particolarmente felice, visto che le regioni che impunemente da sempre svettano in cima a quella classifica si ritrovano altrettanto costantemente in fondo al palmarès delle valutazioni nazionali ed internazionali.
Certamente non è facile organizzare test attendibili a distanza, ma preoccupa una ragione ventilata in proposito e cioè che, poiché in ogni modo si proclama che la didattica a distanza colpisce i settori di studenti più “fragili”, levare loro dinnanzi questi cavalli di Frisia per l’accesso a una scolarità particolarmente qualificata sarebbe un atto di giustizia e di equità sociale.
Che l’equità continui ad essere un problema, è indiscutibile. Andrea Schleicher, il capo di Pisa, attendibile rappresentante del pensiero Ocse ed attento osservatore del problema, nel suo ultimo libro Una scuola di prima classe l’ha definita “inafferrabile”. Infatti, nelle analisi dei fattori relativi ai livelli di apprendimento, il livello di istruzione ed il tipo di lavoro della famiglia e soprattutto del gruppo dei pari nella scuola rimane determinante in misura costante nel tempo, quando si guardi alle classifiche interne dei paesi. L’elemento incoraggiante sarebbe però, sempre secondo Schleicher, quello presente soprattutto nei paesi in ascesa, che danno grande importanza all’istruzione (East Asia in testa) i cui allievi di status basso tendono in alcuni casi a raggiungere e a superare quelli di status medio ed in parte alto dei paesi più affluenti.
Nel caso dell’Italia la polarizzazione dei livelli dell’apprendimento è minore rispetto a questi ultimi, cui di diritto il nostro paese appartiene, perché noi registriamo meno livelli bassi, ma anche molti meno livelli alti e ci attestiamo su una mediocre medietas. Il che non significa affatto che la nostra società sia meno gerarchizzata delle altre, ma che le gerarchie sostanzialmente non si determinano sulla base del merito scolastico, bensì della trasmissione famigliare diretta (beni, eredità di piccole imprese, reti di privilegio sociale), senza neanche l’intermediazione della scuola. Fenomeno particolarmente presente nel Meridione e che determina poi il basso livello culturale complessivo della società perché, per appartenere ai ceti privilegiati che fanno da punto di riferimento per stile anche agli altri, non c’è bisogno neppure di una patina di acculturazione.
Causa ed effetto al tempo stesso la demonizzazione della meritocrazia.
In un libro vecchio di 10 anni ma sempre perfettamente attuale, Le trappole della meritocrazia, Carlo Barone, un importante sociologo emigrato ora in più spirabil aure, affermava che in Italia il problema non è quello di una scolarizzazione troppo bassa, perché negli ultimi decenni la scolarizzazione di massa ha avuto un balzo molto importante attraverso l’eliminazione di tutte le barriere nei vari passaggi (dalle elementari alle medie fino all’ultimo, relativo al passaggio dalle lauree triennali a quelle magistrali). Il punto in cui si registra la “dispersione” è il biennio della superiore, la fascia di età fra i 14 ed i 16 anni, a causa di uno dei due fattori che determinano la mediocrità della nostra scolarizzazione, cioè la mancanza di un serio filone di formazione per il lavoro a partire dagli orientamenti della media fino a finire alla mancanza di una seria formazione terziaria orientata in questo senso.
Non è solo un problema degli insegnanti e della scuola, come spesso si accusa: è la società italiana nel suo complesso, le famiglie, che hanno inteso come uno dei vantaggi del miglioramento economico sociale l’accesso a studi generalistici prolungati ed umanistici “leggeri”. Non siamo soli, perché questo sembra essere il problema di tutto l’Occidente affluente che non riesce ad orientare a sufficienza i giovani alle lauree Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Così noi sforniamo bricoleurs e gli indiani ingegneri.
L’altra ragione del nostro livello di acculturazione non esaltante sarebbe la mancanza di ogni criterio meritocratico, circostanza che impedisce di motivare allo studio anche gli elementi più ad esso potenzialmente interessati e capaci, appartenenti ai settori sociali che non traggono dalla loro caratteristiche interne la spinta a farlo. L’idea deamicisiana dei capaci e meritevoli impediti dall’andare all’università dalle mere condizioni economiche è solo commovente e solo in piccola parte ancora valida: in realtà sono gli stili di vita sufficientemente soddisfacenti anche senza dover passare da studi faticosi e la mancanza di prestigio della cultura e della preparazione a non invogliare.
E la composizione attuale del nostro Parlamento è lì a testimoniarlo. La meritocrazia non è solo e non tanto un problema di investimenti economici in borse di studio efficacemente progettate, ma anche una questione di prestigio sociale.
Nell’ottobre di questo stesso anno scolastico, al Liceo classico Manzoni l’iniziativa del consiglio di istituto di determinare, sempre in caso di esubero, le iscrizioni sulla base delle votazioni di seconda media è stata vittoriosamente respinta. Il che non impedisce una totale autoselezione occulta di tipo direttamente sociale, soprattutto quando si prende come criterio la residenza (il liceo è collocato nell’ipercentro).
Sarebbe interessante ripetere una indagine che si fece alcuni anni fa, sembra di ricordare alla media Parini, in cui venne in evidenza che l’unico elemento di mélange sociale era la presenza della prole del portierato dei palazzi, ammessa secondo il criterio di residenza. Alla luce di queste banali considerazioni si potrebbe anche considerare la vittoriosa lotta degli studenti del Manzoni come volta a mantenere un privilegio immeritato. L’ipocrisia del politically correct ci ucciderà.