È passato più di un mese dall’inizio dell’anno scolastico. E mancano ancora docenti. Ne mancano un po’ in tutti gli ordini di scuole. E così l’àncora di salvezza stanno diventando le Mad, cioè le “messe a disposizione”, cioè i precari non ancora inseriti nelle graduatorie e da poco laureati.

Non mancano solo docenti di informatica o di matematica e delle varie materie tecniche, oppure di sostegno (dove gli “specializzati” sono mosche bianche). Mancano addirittura docenti di italiano. Si finirà per inseguire qualche studente universitario, pur di dare soluzione a questa difficoltà. La quale sarà sempre più critica, nonostante il calo degli studenti, nei prossimi anni.



Eppure, queste cose sembrano lontane dalle preoccupazioni del nostro nuovo ministro Fioramonti, a parte le dichiarazioni sul concorso per i precari e l’indizione di un nuovo ordinario, come se la strada del passato non fosse all’origine delle difficoltà del presente.

La questione di fondo è che il cuore della scuola sono gli studenti; non i docenti, non i presidi, non i muri, non le stesse risorse, nemmeno le tanto osannate tecnologie. Tutti strumenti necessari, ma non sufficienti. Basterebbe passare una settimana nella trincea della scuola per capire quanto sto dicendo.



Non è servito a nulla avere due presidi (Bussetti e Giuliano) ai vertici ministeriali, visti i risultati; ora la stessa domanda può essere rivolta a un “cervello in fuga” come Fioramonti, messo agli stessi vertici.

Perché non basta parlare delle solite risorse che mancano, “altrimenti mi dimetto”, delle merendine che fanno male, cioè l’Iva rimodulata sui consumi, scopiazzando di qua e di là, per dire delle vere questioni aperte, quelle che rendono complicata ogni giornata di ordinaria vita scolastica.

Non basta un nuovo concorso per qualche posto di ispettore: senza un “corpo terzo”, che supporti un sistema nazionale di valutazione, anch’esso è solo un pannicello caldo, visto il lavoro che fanno oggigiorno gli ispettori in servizio nelle Usr. Né basta il ventilato ritorno ai concorsi regionali per i nuovi presidi, viste le recenti complicazioni. Tutti film già studiati, con i risultati che tutti sappiamo.



“Invertire la tendenza”, ha più volte dichiarato il ministro. Salvo intendersi su cosa voglia dire.

Una semplice domanda, da preside in trincea: come portare in concreto a scuola i giovani migliori, più preparati, appassionati, che scelgono (lo posso dire?) per vocazione la scuola? Altrimenti ci ritroveremo giovani che scelgono la scuola come seconda o terza scelta rispetto ad altre prospettive del mondo del lavoro.

“Non basta una laurea per insegnare”, ha sentenziato il ministro. Una cosa ovvia. I test a crocette o i quiz preselettivi sono davvero di supporto, senza prove attitudinali? I risultati di questi test, negli anni, non è che siano stati tutti rose e fiori nella scelta dei presidi e dei docenti. In poche parole, lo sappiamo che i giovani migliori non sempre scelgono la scuola come prima opzione. Considerata ancora oggi, purtroppo, come un ammortizzatore sociale.

Basterebbe fare un’indagine sui giovani che se ne sono andati all’estero, per capire meglio motivazioni, aspettative, speranze e realtà di fatto. Perché Fioramonti non parte da questa indagine, visto il suo percorso?

Comunque una cosa va sottolineata: la caccia ai supplenti di ogni inizio d’anno dice chiaramente che è fallito il vecchio modello di reclutamento. Non solo: questo sistema di reclutamento ci dice che la scuola anche oggi è centrata sui docenti, e non sugli studenti. Perché è il servizio agli studenti che dovrebbe invece determinare il tasso qualitativo di un servizio, di una competenza, di una professionalità, non “a prescindere”, come è oggi. Se le iscrizioni si chiudono a fine gennaio e l’organico di diritto è pronto per primavera, possibile che ai primi di settembre non ci siano tutte le nomine necessarie, per far partire l’anno scolastico? Ci vuole molto?

Ma torniamo sulla scelta e selezione dei docenti. Insistere sui test a crocette, che in classe ovviamente non consideriamo come centrali nella valutazione, e poi sul vecchio modello dei concorsi ordinari, mi porta a dire che la proposta del ministro non può soddisfare la domanda di qualità che è essenziale per affrontare le esigenze formative dei ragazzi e della società di oggi. Chi pensa più, cioè, alla qualità della didattica, alla qualità della scuola?

La strada da percorrere invece è un sistema di abilitazione: chi entra a scuola, in poche parole, deve essere abilitato, non solo sulle conoscenza della propria materia, ma anzitutto sugli aspetti psicologici e contestuali del mondo della scuola. Ci vogliono concorsi regionali, aperti a tutti, convocati in base alle effettive esigenze occupazionali, e costruiti non solo in termini nozionistici.

Una volta abilitati, sono le scuole, sulla base della specificità e curvatura dei propri progetti formativi (Ptof), che devono avere la possibilità di individuare i docenti, prendendoli dagli Albi professionali regionali, corrispondenti a quei profili. Il tutto in forma trasparente e con verifiche attente da parte degli organi periferici dell’amministrazione scolastica.

Ripristiniamo la “chiamata diretta”, dunque, ma fatta in modo trasparente, cioè disciplinata bene.

Solo così si sconfigge il precariato, altrimenti ogni anno si ripeteranno gli stessi discorsi, con gli stessi errori. E a rimetterci saranno i nostri ragazzi e le loro famiglie, per non parlare del nostro contesto sociale.

Infine, bisogna riprendere il discorso sulla carriera scolastica, ed uscire dal modello assistenzialistico attuale, cioè dalla finzione egualitarista che ancora domina il mondo sindacale. Oggi la carriera docente consiste nell’agguantare, con il ruolo, la propria classe di concorso nella scuola più vicina a casa. Tutto qui. Quando oggi si va in ruolo un docente può maturare sei scatti di anzianità in tutta la sua vita di lavoro, indipendentemente che sia bravo o meno, che lavori bene o male. Una cosa inconcepibile in qualsiasi mondo del lavoro. La scuola, e chiudo, dipende anzitutto (e non solo, ovviamente) dalla qualità delle persone che ci lavorano, dai presidi, dai docenti, dal personale. Cosa ovvia per tutti?