Tra le eccellenze italiane nel mondo, chiunque inserirebbe la moda: i comunicatori dicono che il Made in Italy è caratterizzato dalle 3F, Food, Fashion e… Ferrari. Sarebbe allora fondamentale un filone formativo indirizzato a formare persone che operano in questo settore. Ma si può davvero insegnare la moda?
Molte delle 37 istituzioni Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica) private autorizzate a rilasciare titoli con valore legale risponderebbero affermativamente, in quanto offrono numerosi corsi legati al mondo della moda, in cui hanno studiato diversi stilisti famosi.
Queste istituzioni rispondono all’horror vacui lasciato dal nostro sistema formativo, che per ragioni difficilmente comprensibili o ambiguo snobismo ha sempre evitato di entrare in questo meraviglioso settore, lasciandolo all’estro e alla genialità dei singoli. Insegnare la moda significa operare con il pieno intento di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro grazie ad un continuo aggiornamento dei programmi, garantito da docenti che spesso sono professionisti inseriti nelle più importanti aziende del sistema moda.
La nostra responsabilità verso il settore e i suoi principali interlocutori è stata quella non solo di preparare dei professionisti, ma di aiutare i futuri protagonisti a sviluppare un nuovo senso critico nei confronti del processo di cambiamento sociale che ha investito questo settore, anche grazie all’approfondimento di materie culturali ben conosciute nelle università anglosassoni, ma ancora poco studiate in Italia. Le teorie della moda vengono utilizzate per spiegare come e perché gli stili e le mode si diffondono nel tempo e attraverso le culture, aiutando gli studenti a interpretare, capire e sintetizzare lo spirito del tempo nel nostro vestire quotidiano.
Sembrano argomenti futili, ma ignorarli significa perdere di vista la ragione d’essere di un settore industriale in grado di produrre in Italia oltre 92 miliardi di fatturato (per la maggior parte esportato), con 67mila aziende e oltre 580mila addetti, chiaramente tra i fondamentali del nostro Paese, e non solo in termini di immagine. Grazie allo sviluppo delle Afam, i corsi legati alla moda trovano terreno fertile per uno sviluppo nel sistema educativo riuscendo a liberarsi dal “bistrattismo” presente in alcuni ambienti universitari e riuscendo così, a fatica, a fare massa critica e a farsi notare nel mondo accademico italiano, anche se il settore artistico e musicale (questo il significato della sigla) resta ancora figlio di un dio minore.
Su questo punto nasce, però, la prima riflessione sulla necessità di maggiore coerenza tra un mondo spesso ingessato nel rigido contenitore tracciato dal ministero e l’effervescenza intrinseca dei contenuti legati a queste aree. Se il contenitore rimane immobile per più di trent’anni con declaratorie sempre meno capaci di inglobare quello che un settore così vitale può produrre, ne nasce una paralisi del sistema che porta inevitabili difficoltà al suo funzionamento.
Le specializzazioni dei corsi di moda presenti sia negli ordinamenti Afam sia in quelli Isia (i corsi specificamente destinati alle industrie artistiche) hanno sempre più bisogno di aggiornamenti che amplino la possibilità di generare approfondimenti in campi manageriali contigui alla moda come quello, ad esempio, del fashion business. Le aziende richiedono figure professionali in grado di coniugare basi economico-gestionali con la sensibilità unica acquisibile nei nostri corsi legati alla tecnica e alla cultura dell’estetica per permettere allo studente una piena comprensione del sistema moda.
Se vogliamo mantenere il nostro patrimonio immateriale e materiale della fashion industry abbiamo la necessità e la responsabilità di preparare figure in grado di affrontare le sfide continue che emergono da questo settore, non puri tecnici che possono essere preparati dai politecnici di ingegneria, non puri economisti che posso essere benissimo preparati dalle prestigiose università di economia, ma diplomati che rispondano in maniera coerente alle richieste del mondo del lavoro: in altri Paesi come, ad esempio, nelle università del Regno Unito, il Bachelor of Art in Fashion Business è una laurea triennale che viene erogata da almeno cinquant’anni.
La volontà di ampliare l’offerta dei corsi Afam sposa un altro importante pilastro di attrattività delle nostre scuole che è l’internazionalizzazione dei percorsi formativi: i corsi del nostro settore stanno diventando, e in molti casi sono già diventati, un polo di formazione attrattivo per gli studenti internazionali, e le scuole con una maggior vocazione, o collocate in reti internazionali, hanno raggiunto anche la presenza del 70% di studenti provenienti dall’estero e sono da loro sempre più ricercate, tanto che i ministeri di molti Paesi stanno chiedendo sempre di più di collaborare al fine di poter rilasciare dei joint degree o double degree impreziositi dai contenuti erogati dai nostri docenti. Su questo, paradossalmente, il ministero italiano è in grave ritardo.
La ricchezza del nostro mondo educativo nasce soprattutto dalla capacità di creare contaminazioni tra “scienze” contigue profondamente specialistiche che spaziano dalla moda alla fotografia, dall’arte al marketing, dall’estetica alla comunicazione: ma per creare e potenziare questo vortice non possiamo aspettare decisioni dal centro uguali per tutti, ma abbiamo sempre più bisogno di un sistema in grado di agevolare le connessioni e garantire alle istituzioni l’autonomia necessaria a rendere sempre più innovativa l’offerta formativa, anche potenziando una collaborazione già in atto, almeno inizialmente.
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