BUCAREST – È noto a tutti come di recente, in nome di una presunta “inclusività”, l’Unione Europea abbia tentato di cancellare – proprio nel nostro continente, culla della cristianità – ogni traccia di festività religiosa.
Quasi a dispetto di quella circolare, ritirata peraltro all’indomani dell’emissione, qui in Romania il clima natalizio si respira dovunque.
Così, anche la Scuola italiana “Aldo Moro”, prima di chiudere i battenti per le vacanze, si è preparata a vivere le festività in “santa allegrezza”.
Ad inaugurare gli eventi programmati per l’occasione è stata la visita, presso l’ambasciata italiana a Bucarest, di tutti gli alunni che frequentano la scuola primaria. Si è trattato di un momento particolarmente intenso per l’attenzione che l’ambasciatore e la consorte hanno riservato ai nostri bambini i quali si sono esibiti nelle colinde, i canti natalizi tipici della tradizione romena. Dopo l’entusiasmo per lo scambio dei doni, la sorpresa più gustosa è stata quella di vedere un intero tavolo imbandito di panini alla Nutella oltre poi alla possibilità, per i bimbi, di giocare liberi nel giardino dell’ambasciata.
Ma l’evento natalizio più significativo, destinato a coinvolgere tutte le componenti scolastiche, si è svolto il 17 dicembre: in parte all’interno della scuola e in parte nello spazio antistante all’edificio, i veri protagonisti della festa sono stati i ragazzi con le loro famiglie che in gran numero vi hanno partecipato, confermando così come la “Aldo Moro” abbia saputo stabilire, negli anni, rapporti positivi con la propria utenza costituita non solo da italiani che vivono in Romania, ma anche da cittadini di origine romena.
La docente di educazione musicale, che insegna sia alla primaria che alla secondaria di primo grado, aveva preparato brevi spettacolini destinati a coinvolgere gli alunni in ogni classe. E tuttavia lo spettacolo autentico sono stati i genitori. Mentre li scrutavo durante le performance dei loro figli, pensavo che, ad ogni latitudine, il cuore dell’uomo non si smentisce: in Romania come in Italia si rinnova l’eterno, struggente desiderio dell’amore. Un desiderio spesso inconsapevole, soffocato talvolta, specie nei padri, da altre priorità centrifuganti; un desiderio però sempre vibrante che, quando si è figli a dodici, tredici anni, si fa acuto e al tempo stesso confuso: si implora così lo sguardo dei genitori, lo si cerca fino talvolta a pretenderlo, come un bisogno irriducibile di sicurezza e di positività.
Ma non è forse questo lo stesso desiderio che vibra nel cuore anche di noi adulti?
E non è forse per rispondere a questo desiderio che ogni anno arriva puntualmente Natale?
Si annida nel cuore la malcelata attesa di un dono, un dono natalizio che rappresenti il segno, tacito ma reale, della tenerezza di un Dio che si fa Bambino.
Anch’io quest’anno ne ho ricevuto uno e mi ha commosso. Non si tratta del tradizionale panettone o pandoro che qui le famiglie offrono ancora ai docenti per le feste, ma piuttosto di una piccola soddisfazione che, per chi tenta di educare, rappresenta qualcosa di impareggiabile.
Per i “miei” ragazzini di prima media a cui insegno italiano avevo programmato un tema in classe da svolgere il venerdì prima delle vacanze. È solo da settembre che questi undicenni si cimentano con un testo scritto, perché alla primaria “i pensierini” di antica memoria non usano più.
Così è successo che uno di loro – genitori entrambi romeni – sia venuto alla cattedra a propormi il suo scritto. Mentre me lo leggeva, davanti all’utilizzo di certi aggettivi, si è fermato per dirmi che aveva ben chiaro come quella non fosse la scelta adeguata, ma: “prof, non mi vengono ancora le parole giuste!” E immediatamente dopo, ha trovato la libertà e il coraggio di confidarmi che aveva comunque fatto attenzione a non cominciare più una frase con “ma”, “però” e “invece”.
Che dire? Quando chiedi al Mistero di manifestarsi, ecco come riesce imprevedibilmente a sorprenderti e a sussurrarti che, anche quest’anno, sta compiendo la promessa di nascere così per te, non più a Milano, ma a Bucarest.
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