Ho un’amica la cui parente è una suora di un ordine che ha fondato e dirige scuole. Gli ultimi anni di pandemia hanno messo a dura prova le iscrizioni, tanto che rischiano la chiusura per mancanza di bambini. L’amica si è fatta mostrare il sito della scuola: sulla pagina di apertura campeggia una classe di scolari, seduti in fila nei loro banchi, rigidi e composti, in grembiule nero, con le maestre statuarie in piedi dietro.
No, no, non ci siamo – fa l’amica alla zia suora – non è proprio questa l’immagine per aumentare gli iscritti! Meglio mostrare bambini che si arrampicano sugli alberi, o che mungono una capretta. Questi sono i tempi. E non si deve credere che valga solo per le scuole private, anzi. Quelle gestite con più elasticità e realismo hanno aumentato gli iscritti. Il vero moloch granitico (ma coi piedi d’argilla), saldo e irremovibile nel suo immobilismo aggravato dai protocolli Covid, è la scuola di Stato.
Finita probabilmente l’epoca delle pandemie, delle clausure-a-chiave, delle quarantene e delle paure o contro paure, la scuola tira le somme, alla fine di un ennesimo anno nero. E spera che la ripresa settembrina non riporti i protocolli Covid, i distanziamenti dei banchi (senza rotelle), le entrate contingentate e i cortili divisi in minuscole aree perimetrate da distribuire durante la ricreazione a classi i cui bambini poi si mischieranno lo stesso nei corridoi e nei bagni. E le mascherine asfissianti e i tamponi e i vaccini quadridose ormai. Incrociando le dita.
Ma il bilancio non è affatto positivo: incremento dei casi di fobie infantili, incapacità di tornare a scuola e di socializzare; agorafobia e scuolafobia; psicofarmaci per tutte le età; presidi denunciati per aver applicato rigorosamente i nuovi protocolli e altri per non averli applicati troppo rigorosamente; genitori pro-vax e no-vax ai ferri corti. Un disastro. Molti si chiedono come potrà riprendere la scuola.
Intanto la cronaca registra l’emergere di due fenomeni che, rimasti sottotraccia prima dell’emergenza epidemiologica, ora diventano importanti. Da un lato, l’espansione della cosiddetta “scuola parentale”. Prevista dalla legge, è una forma di educazione privata: i genitori dichiarano che i figli non frequenteranno la scuola e che si faranno carico privatamente della loro istruzione. Poi un gruppo di famiglie si organizza, a casa di qualcuno fanno lezioni ai bambini, magari li aiuta qualche neolaureato per le materie più brigose; a fine anno i bimbi danno l’esame previsto per legge e figuriamoci se non lo passano. In questo modo evitano tutta la mostruosa burocrazia, i protocolli, gli obblighi comportamentali, i divieti che fioccano a scuola per ogni attività: da anni non si fanno uscite, gite scolastiche, attività laboratoriali, artistiche, motorie, teatrali, per la paura del contagio.
Il secondo fenomeno è il moltiplicarsi di esperienze educative e didattiche alternative: la scuola-nel-bosco, la scuola-senza-zaino, la scuola-della-gratuità, la scuola-senza-pagella sono alcuni dei nomi di queste novità facilmente rintracciabili sulla rete per chi vuole anche solo informarsi sulla scelta che il mercato dell’educazione ormai mette a disposizione. Torme di genitori impauriti dal Covid o impauriti dalle misure anti-Covid stanno seriamente mettendo in discussione la scuola cosiddetta tradizionale, qualunque cosa essa sia ormai, e ammesso che già da tempo ne fosse rimasto più di qualche brandello nel sistema scolastico. La nuova moda, che naturalmente i pedagogisti hanno nominato in inglese con i termini outdoor education, cioè scuola all’aperto, ha conquistato le facoltà di Scienze della formazione e non c’è ormai università che non abbia progetti di questo tipo. In attesa delle nuove mode.
Guardando all’aspetto positivo, questa pandemia potrebbe essere un’occasione di riflessione per il mondo della scuola. Che il sistema di istruzione non possa più andare avanti come negli ultimi tempi era già chiaro, ma ora si è fatto evidente, proprio grazie ai problemi posti dal Covid. L’errore sarebbe tentare di ripristinare lo status pre-pandemia, sogno che appartiene in realtà a non pochi operatori della scuola. La cosiddetta “normalità”, ancora una volta qualunque cosa sia. Ma esiste l’errore opposto, quello cioè di trasformare la scuola in una specie di libro della giungla, o apologia del buon selvaggio: all’aria classi, banchi, lezioni. Liberi tutti. Ma per far che?
La soluzione è a portata di mano. Dato che il sistema ha scricchiolato per la sua rigidità burocratica e organizzativa, si potrebbe pensare a una maggior flessibilità organizzativa e a una valorizzazione effettiva della libertà di insegnamento, che tuttavia non perda obiettivi comuni e chiari; si potrebbe mettere al centro di nuovo il rapporto educativo e personale tra insegnanti e alunni, senza ingerenze burocratiche e schemi indiscutibili su questioni come, ad esempio, la valutazione. Basterebbe dare un po’ di aria e fiducia a coloro che a scuola ci lavorano e che di fiducia non ne ricevono più, pur essendo stato chiaro a tutti in questi mesi che se il sistema di istruzione ha retto è stato per l’abnegazione degli insegnanti.
Sarebbe, tutto sommato, abbastanza semplice; ciò che sembra difficile è che chi dirige la scuola, dal singolo istituto al ministero, lo capisca.
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