Caro direttore,
abbiamo ricevuto in questi giorni la pagella di nostro figlio, che ha 15 anni ed è iscritto alla seconda superiore.
Otto in quasi tutte le materie: italiano, matematica, inglese, ecologia e pedologia, diritto ed economia…
Le assicuriamo però che non ha mai aperto un libro, svolto un compito, sostenuto un’interrogazione o portato a termine una verifica. Nostro figlio è infatti un ragazzino gravemente disabile, nato con una malformazione neurologica: è afasico, ha grossi problemi motori, non sa leggere, scrivere, contare.
Questa situazione però si ripete dal primo anno di scuola primaria.
Vuole sapere di chi è la responsabilità?
Dello Stato italiano. Da più di 50 anni si vanta di avere eliminato le scuole speciali. Da più di 10 anni si riempie la bocca con la parola “inclusione” che, ironia della sorte, in analisi grammaticale viene studiata tra i nomi astratti, cioè quei nomi che “designano entità che non fanno parte del mondo concreto, fisico, e di cui non si può avere esperienza attraverso i sensi”.
E così è. Con le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, del 2009, è stato stabilito il concetto importante dell’accettazione delle diversità presentate dagli alunni disabili, come fonte di arricchimento.
All’inizio dell’anno scolastico il consiglio di classe redige per gli alunni “H” il Pei, il (nuovo, tra l’altro) modello nazionale del Piano educativo individualizzato.
Durante l’anno si riunisce più volte il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (Glo), che coinvolge l’intero team dei docenti di classe, la famiglia e gli operatori sanitari.
Sul Pei, un documento di 13 pagine che richiede grande lavoro da parte dei docenti, sono indicati anche gli obiettivi, le modalità di sostegno didattico e di verifica, i criteri di valutazione in relazione alla programmazione individualizzata.
Per quali ragioni e alla luce di quali Linee guida e di quale processo inclusivo sulla pagella noi genitori di figli diversamente abili dovremmo continuare a trovare valutazioni su obiettivi che non sono quelli stabiliti dal Pei? Non sarebbe davvero inclusivo e quindi più giusto, più ragionevole e realistico valutarlo sul percorso fatto e rimodulare la proposta didattico-educativa per l’anno successivo?
Le raccontiamo un fatto accaduto alla fine dell’anno scolastico 2021-2022 che ci ha, tra l’altro, profondamente commosso.
Scrutini. I professori passano a valutare nostro figlio. “Comprensibile” imbarazzo. “Che voto mettiamo?” “Mettiamo 6 a tutto?”. “Non si può dare più di 6, io non l’ho neanche mai visto!” (E qui si dovrebbe aprire un altro drammatico capitolo). I docenti di sostegno si infervorano e con decisione “costringono” i colleghi a mettere una valutazione decisamente positiva in tutte le materie, perché proprio nell’ultima mattina dell’ultimo giorno di scuola nostro figlio aveva salito le scale da solo (nell’istituto non c’è un ascensore). Salire le scale, obiettivo legato alla sfera dell’autonomia, presente sul Pei.
Ecco, noi preferiremmo una pagella dove trovassero spazio valutazioni che c’entrassero con il percorso che sta realmente portando avanti nostro figlio, come “Ha imparato a segnalare in tempo le sue necessità fisiologiche”, oppure “Di fronte al divieto dell’insegnante non si è più buttato per terra” o ancora: “Il prossimo anno l’obiettivo sarà quello di lavorare di più in classe”. Una pagella dove venissero messe in luce le sue risorse: le sue capacità empatiche, la forza che c’è nel suo sentirsi amato, la sua gioia di vivere.
O semplicemente dove si raccontasse che nell’ultima mattina dell’ultimo giorno di scuola ha salito le scale da solo.
Quello dell’inclusione è sicuramente un discorso complesso. Merita commissioni, linee guida, gruppi di studio, di lavoro e quant’altro. Ma l’inclusione è anche cosa semplice. Basterebbe partire dal guardare ciò che c’è.
Cari saluti
Un padre e una madre
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