Sono tanti gli esempi di conformismo culturale che la politica impone alla scuola italiana. Essendone padrona, fa quello che vuole dell’istruzione e ogni qual volta sente una necessità o nasce una moda da una campagna stampa, la dettaglia con leggi, circolari e regolamenti. E così i tanti insegnamenti e attività che a cascata sono entrati nelle aule, senza essere delle vere e proprie discipline, vanno e vengono, appaiono e poi spariscono.
Tra questi ricordiamo il Centro informazione e consulenza (Cic), struttura di prevenzione del disagio giovanile e dei comportamenti a rischio, che lavora sulle dinamiche inerenti allo “stare bene a scuola”; tanto di moda nei primi anni duemila, ora sta perdendo punti.
Molto gettonate sono anche l’educazione sessuale, quella alimentare, ambientale, gli sportelli a tema sulle tossicodipendenze, sul bullismo e il volontariato.
L’Alternanza scuola-lavoro è stato un altro buon cavallo di battaglia; all’inizio super disciplina senza docenti con 400 ore nel triennio dei tecnici (200 nei licei), ora ridimensionata, doveva far entrare in azienda il milione e mezzo di studenti del triennio delle superiori. Tornata nei ranghi per megalomania, anche per la scarsa efficacia dimostrata, era diventata lo spauracchio di molti studenti, che bivaccavano negli auditorium a sentire conferenze per loro di scarsissimo interesse.
L’ultima novità riguarda l’introduzione di “cittadinanza e costituzione”. Anche in questo caso è organizzata come una materia che non è una materia, perché fatta di 33 ore l’anno, da spalmare su tutte le discipline, a costo zero. Accade un grave fatto di cronaca? Bene, ecco pronto un corso e annessi laboratori, con tanto di prediche e morali laiche. Sono scomparsi i preti, ora vanno di moda esperti, psicologi, sociologi e giuristi. Un po’ come in tv. Gli studenti hanno scarsa coscienza civica, non si interessano dell’Europa, non sanno come si vota? Offriamo loro l’educazione civica, così saranno cittadini migliori, consapevoli, impegnati e civicamente attivi. Formiamoli ai buoni valori, politicamente corretti; con scarsa efficacia, ma così avremo la coscienza a posto.
Il bello del ddl, che ora passa al Senato, sta in un emendamento, sbucato all’ultimo momento, che abolisce gli articoli 412 e 414 del Regio decreto 1297 del 26 aprile 1928, che prevedeva per i bimbi delle elementari le sanzioni disciplinari, dalla nota all’espulsione. Anche se il Miur fa notare che si tratta solo di un aggiornamento normativo, siamo alle solite. La scuola non può più punire, deve solo convincere, persuadere e comprendere. Finita l’epoca delle bacchette sulle mani, bisogna però chiedersi cosa rimane ai docenti per riportare all’ordine certi comportamenti sbagliati che sussistono anche nei bimbi più piccoli. E come si può far capire ai genitori che approvano quasi sempre i capricci dei loro figli, anche tra i banchi, che non possono approvare gli errori dei loro intoccabili prìncipi? Quali strumenti hanno gli insegnanti per correggere certi comportamenti insani? Anche tra i bimbi esistono (purtroppo) piccoli bulli e certo in questi casi la persuasione non serve.
Se i parlamentari avessero condotto una seria indagine coinvolgendo le insegnanti della primaria, che spesso non hanno alcuno strumento per poter condurre le lezioni in modo ordinato, avrebbero certamente rinviato e approfondito il tema disciplinare, che nelle scuole sta diventando un’altra emergenza: dei bambini e dei loro genitori.