Caro direttore,
sabato mattina un’amica manda su uno dei gruppi di Whatsapp che popolano i nostri telefoni l’articolo del Corriere della Sera che racconta la sperimentazione in atto al Liceo scientifico Bottoni: sono abolite le valutazioni intermedie, i voti vengono sostituiti da giudizi motivati, ogni due mesi un colloquio ragionato con studenti e genitori. Il tutto per andare incontro agli studenti, a un disagio diffuso legato all’ansia di voti, interrogazioni e così via; la sperimentazione non è solitaria, ci sono altre scuole – tra cui, ho appreso proprio oggi, il Malpighi di Bologna – e c’è la supervisione della facoltà di pedagogia della Bicocca di Milano.
Mentre già iniziavano i commenti “virtuali”, pro e contro, entro in classe, quarta scientifico, per interrogare. Si offrono due ragazzi, tra i più bravi della classe, e altri due sono estratti. E penso: questi sono bravi, sapranno tutto, facciamo qualcosa di diverso. E così ho proposto loro l’articolo. E anzi, prima di passare all’articolo, ho detto ai due estratti: insceniamo un bel dibattito sulla libertà, Agostino da una parte e Lutero dall’altra. Nel frattempo gli altri due leggevano l’articolo.
Lo hanno letto diligentemente, riassunto con grande lucidità e poi è partita la discussione. Il motivo per cui ho trovato così perfetto l’articolo è che il contenuto dell’interrogazione era la prima Scolastica, dunque un certo modo di fare scuola e un certo contesto. Quindi la mia domanda è stata: il Bottoni è più simile alla scuola medievale o alla scuola in cui siamo noi adesso, in questo momento? Giovanni (nome di fantasia) dice: “Nel Medioevo andavano a scuola perché volevano imparare. Abbiamo studiato, prof, che i fenomeni partivano dal basso, quindi uno se voleva andare a scuola era perché gli interessava. Quando la scuola è diventata dell’obbligo, allora sono stati introdotti degli strumenti che potessero rendere tutti uguali e che appunto obbligassero a studiare in un certo modo, anche magari chi non aveva voglia di andare a scuola”.
Chiedo allora a Giacomo (altro nome di fantasia): “Ma dove si impara di più? E tu ce la faresti senza i voti?” “Prof, si impara quando si vuole imparare. Non si impara solo perché c’è il voto o perché non c’è. Io so che se voglio crescere devo studiare, proprio come facevano i medievali, che studiavano perché volevano”. Dalla classe ci sono tantissimi interventi, e una ragazza mi colpisce in particolare. Chiede: “Ma se alla fine dell’anno ci sono ancora i voti e i crediti, non è che torna tutto come prima? E se ci sono i professori che ancora mettono tante verifiche per avere i voti? Prof, per cambiare non ci vogliono le leggi, per cambiare ci vogliono delle persone cambiate”. Grazie ragazzi!
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