Si è spenta, a Roma, la professoressa Luciana Martinelli, ordinaria di letteratura italiana nell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Allieva di Giuseppe Petronio, ha cominciato giovanissima la sua attività di ricerca e ha insegnato a Trieste, L’Aquila, infine a Cassino. La comunità accademica, il mondo della ricerca, della cultura e della scuola hanno perso un’intellettuale molto raffinata, un’appassionata studiosa dei testi della letteratura italiana e straniera, ma soprattutto una grande insegnante, una maestra che non amava tenere per sé le sue scoperte scientifiche. Le sue originali tecniche di analisi e di critica letteraria, il suo acume creativo, i suoi giudizi sugli scrittori era sempre pronta ad offrirli ai suoi allievi, non solo nelle numerose e preziose pubblicazioni, ma anche nelle sue lezioni universitarie. Le ore di lezione si trasformavano in una pagina di critica letteraria, come amava definirle lei stessa, soprattutto quando gli studenti riuscivano a confrontarsi con le immagini e i contenuti che l’involucro della parola poetica riusciva a svelare in quel momento e quando i testi si trasformavano in una lente d’ingrandimento, capace di cogliere aspetti inesplorati dell’esistenza.



A Cassino teneva sempre i suoi corsi nel secondo semestre; la primavera sbocciava con i “fiori sgargianti e variopinti” offerti dalle lezioni di Luciana Martinelli. Leggeva i testi di Leopardi, Verga, De Roberto, Capuana, Pirandello, Tomasi di Lampedusa e tanti altri. Le aule erano piene di studenti ed io ero sempre seduto nelle prime file per ascoltarla più attentamente. Desiderava ardentemente che seguissimo le sue letture, che ci coinvolgessimo con domande e interventi; non accettava che studiassimo solo sui libri di testo. Ai suoi corsi non si ascoltavano solo le sue parole, ma soprattutto quelle dei grandi scrittori, che lei ci leggeva con una voce squillante, cristallina e penetrante. Odiava chiamare la sua disciplina “storia della letteratura”; non sopportava quei volumi pieni di informazioni sulla vita e sulle opere di un autore; inorridiva di fronte alle pagine di critica letteraria, soprattutto quelle dense di contenuti ideologici. Amava leggere i testi dei grandi scrittori e analizzarli scientificamente, entrando nella dimensione profonda che il codice espressivo è sempre stato in grado di configurare.



Con la lettura dei testi, l’attenzione al codice di secondo grado, con la cura dell’ordito poetico e artistico avvicinava migliaia di allievi non al pensiero degli scrittori, non ai giudizi dei critici, ma alle pulsioni interiori, ai contenuti inconsci, alle dimensioni oniriche del linguaggio e di ogni lettore. Aveva un modo del tutto originale di leggere e interpretare la letteratura. Attraverso l’analisi dei testi, riusciva a far emergere dal codice espressivo la voce profonda di ogni uomo, un senso riposto che precedentemente si nascondeva all’interno dell’universo verbale, fatto di parole, suoni, ritmi e immagini. La Martinelli ha saputo dare rilievo al punto di vista intimo dell’uomo e della donna, nascosto nell’inchiostro dello scrittore e della scrittrice; ha lasciato trasparire il modo inconfondibile di vedere la realtà e il mondo da parte dell’autore, dal cui sguardo è sempre nata una particolare configurazione artistica del mondo, che si è tradotta in poesia e prosa.



Per lei lo scrittore si faceva narratore dei meandri subliminali e segreti della vita, che sfuggono alla ragione e all’ordine cronologico, e vengono colti solo dalla capacità percettiva di chi sa ascoltare e vedere. “Lo scopo dello studio dei testi – afferma F. Kermode – è quello di penetrare la superficie e rivelare un senso segreto: mostrare ciò che è celato in ciò che è proclamato (…) La segretezza esiste. Questa è la fonte dei piaceri dell’interprete”. Questa affermazione di Kermode descrive molto precisamente il delicato lavoro di lettrice e studiosa della professoressa Martinelli. Ne rimasi subito folgorato, tanto da chiederle la tesi e da iniziare un lavoro di ricerca sui testi poetici di G. Leopardi. Da quel momento non l’ho più persa di vista: ho frequentato il dottorato e il postdottorato di ricerca con lei, l’ho seguita ovunque, ho tenuto lezioni con lei, ho curato diverse pubblicazioni con il suo aiuto, ma soprattutto l’ho guardata e ascoltata, come fa un bambino con sua madre, perché sapevo che solo se avessi “rubato con lo sguardo”, avrei ricevuto il più possibile da lei e avrei donato le mie scoperte agli altri.

Ricordo il suo entusiasmo, quando le chiesi di iniziare la ricerca con lei e con il suo gruppo. Si lavorava assiduamente con il suo team, di notte e di giorno, in università, in biblioteca, a casa sua, dove ricordo una stanza tutta per noi e per le nostre scoperte. Il lavoro non era svilente e noioso, non si basava esclusivamente sul reperimento di libri nelle svariate biblioteche italiane. Ci si confrontava approfonditamente sui testi, ci si impegnava in un lavoro linguistico, simbolico e filologico per reperire quelle verità che interessano l’uomo di tutti i tempi, perché lo scrittore nel momento in cui scrive – amava affermare la Martinelli – scompare, per lasciare posto all’umanità del lettore. In questo modo concepiva l’università: non come un’élite di accademici freddi e autoritari, distaccati dagli allievi, ma come uomini interessati ad intraprendere un cammino di ricerca con i propri studenti. Con la professoressa Luciana Martinelli ho capito cosa significa studiare, ho approfondito la mia passione per la letteratura, ma soprattutto ho capito che dovevo donare tutto quello che stavo ricevendo da lei. Per questo motivo adesso insegno e sono sempre al lavoro con i miei studenti.

Devo a lei l’attenzione che adesso presto ai testi degli autori; devo a lei la cura per la scrittura: ogni settimana, infatti, chiedo ai miei allievi di scrivere un tema e lo correggo parola per parola. Lei “mi leggeva”, era attenta ad ogni singola parola che scrivevo; amava l’eleganza del linguaggio, l’uso appropriato dei termini, l’argomentazione attenta e accurata. Adesso sono io a “leggere” i miei ragazzi e a provare una grande responsabilità per il loro futuro di lettori, scrittori e soprattutto di uomini. Mi sento allievo di una scuola nuova di letteratura, una scuola che lei ha fondato, sfidando e superando i suoi vecchi maestri, la sua vecchia scuola, che lei stessa definiva ideologica, per crearne un’altra, libera da censure e dottrine politiche, libera, perché legata semplicemente al valore della scrittura e al legame del linguaggio con il cuore umano. Non è un caso che il suo ultimo lavoro, che ha voluto curare con me, affronta la conquista femminile della libertà di parola e di pensiero.

Per la Martinelli, la scrittura è diventata segno di indipendenza e di emancipazione da parte della donna. I suoi libri, come le sue lezioni, più che saggi critici sono stati una sorta di metaromanzo, di romanzo nel romanzo per la capacità narrativa, l’eleganza dello stile, l’efficacia descrittiva con cui la studiosa è riuscita ad indagare e analizzare le opere dei grandi scrittori della letteratura: da Dante a Lucini, dai Memorialisti del XIX secolo a Verga e De Roberto, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa. La perspicacia della Martinelli è riuscita a scandagliare, nei testi degli scrittori, dimensioni dell’animo mai esplorate. La professoressa mi ha insegnato un metodo e una passione. È stata una maestra per me e per tanti suoi allievi. Riconoscendomi figlio, posso permettermi, adesso, di diventare padre dei miei numerosi allievi. Si è maestri, solo se si è stati allievi. Si può donare, soltanto se si è ricevuto.

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