“Il 6 aprile 1917 il presidente Wilson e il Congresso decidono l’intervento degli Stati Uniti d’America, al tempo la più grande potenza industriale, nel primo conflitto mondiale”. Anche se sono trascorsi ormai diversi giorni dal risultato delle consultazioni elettorali americane, non appena si incrocia, durante una normale ora di lezione, il tema del ruolo degli USA nelle vicende della storia il pensiero di tutta la classe corre subito all’attualità.
Diventa allora inevitabile chiedere agli studenti che cosa pensino del risultato delle elezioni e le loro risposte sono, in prima istanza, reazioni del tipo: “sono contento”, “non sono soddisfatto”, “avrei preferito un altro risultato”, fino a commenti su entrambi i candidati, sulle loro caratteristiche e i loro limiti, con anche pareri piuttosto netti che celano un certo disagio: “se voti uno è per i demeriti dell’altro”, “io non avrei nemmeno votato”.
È interessante che alla domanda su che cosa si pensi di un fatto si reagisca esprimendo anzitutto una sensazione, una fatica, prima ancora che un pensiero o un dato di realtà. Subito ci si accorge che lo stile di questi interventi non dista molto dalle modalità della campagna elettorale, che qualche studente stigmatizza come un duello troppo enfatizzato: in fondo anche noi siamo immersi nello stesso modo di ragionare o, meglio, di rispondere reattivamente che caratterizza la scena politica e più ampiamente il vissuto di molti.
Solo a questo punto qualcuno in classe inizia a formulare qualche domanda, nel tentativo di comprendere il senso delle nostre reazioni: “perché è così importante? Perché sentiamo che ci riguarda?” e lo stesso alunno prova a riflettere: “forse per noi si tratta di votare una persona particolarmente potente che decide delle sorti del mondo, ma per gli americani si tratta di una questione di politica interna, di scegliere qualcuno che renda grande, forte e sicura la loro nazione, senza porsi così tanto il problema del rapporto con gli altri Stati”.
Una riflessione come questa spinge subito la classe a cambiare prospettiva e a chiedersi quali siano le esigenze espresse dagli americani durante la campagna elettorale: che cosa c’era veramente in gioco per gli USA? Che esigenze manifesta un voto del genere? Quali sono le tematiche fondamentali che hanno mosso la popolazione e che hanno deciso la partita elettorale?
È a partire da queste domande che può prendere le mosse un vero approfondimento dei contenuti; in particolar modo, si può avviare quel lavoro così essenziale che è comprendere il significato delle parole che utilizziamo.
In primo luogo: tutti vogliono che la propria nazione sia grande, ma che cosa vuol dire? Il tema diventa allora capire in che cosa consista la grandezza di una nazione, se sia possibile concepire un’adeguata politica interna senza guardare alla politica estera. Si tenta, di conseguenza, di ripercorrere la storia più o meno recente alla ricerca di esempi, tra quelli studiati, di momenti in cui la grandezza di una qualche nazione è coincisa con l’assunzione di un compito oltre i propri confini nazionali, fino ad arrivare a chiedersi se tutto questo non costituisca una sfida per noi europei nel pensare al nostro continente e alla sua attuale collocazione nelle vicende del mondo.
Si passa a capire a che cosa realmente corrisponda l’esigenza di concretezza che a detta di molti studenti ha orientato in modo significativo il voto americano. Ma a quali condizioni diventa possibile soddisfare questi bisogni costruendo qualcosa? In questo modo le prime reazioni sui candidati e sul clima della campagna elettorale diventano l’occasione per riflettere sulla crisi della politica classica. I nostri sentimenti di fronte alle elezioni americane possono essere l’espressione solo di un disagio, oppure possono diventare l’occasione per riflettere sul fatto che non è scontato che ci sia qualcuno in grado di trasformare in istanze concrete di sviluppo le più diverse proteste del popolo americano. Più a fondo, appare che non sono scontate nemmeno l’esistenza di un tessuto sociale e la solidarietà umana, come le tensioni di questi mesi hanno dimostrato.
L’analisi dei risultati del voto va sempre più concentrandosi sulla questione della distanza dalla realtà, fino a farci intuire che il fattore decisivo della campagna elettorale sia stato proprio la maggiore o minore capacità dei candidati di intercettare le reali condizioni e domande della popolazione. Il dialogo in classe a questo punto evidenzia finalmente la questione decisiva sottesa a tutte le precedenti: è veramente possibile mantenere il rapporto con la realtà? Ci rendiamo conto che anche noi potremmo vivere in bolle isolate? Se per superare la polarizzazione si tratta di incontrare realmente qualcuno, come può avvenire questo? Come si mantiene il rapporto con la realtà?
Le considerazioni estemporanee a proposito di un evento politico recente si sono così trasformate, nel dialogo, in una domanda sulla propria esperienza. Quello che potrebbe ed è frequentemente oggetto di scontri accesi è diventato così l’occasione per percorrere ancora una volta l’itinerario della conoscenza: essa prende le mosse dalle nostre reazioni, anche emotive e spontanee, per mostrare le esigenze in gioco, fino a comprendere le vere questioni implicate dagli eventi e, soprattutto, il nesso con il nostro vissuto.
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