Caro direttore,
da dirigente scolastico, attualmente in balia degli eventi, non posso che guardare con profonda stima alla disamina sul tema carriera alias che il Sussidiario ha proposto attraverso la preziosa sintesi di Domenico Tallarico qualche giorno fa.
Il mio intervento intende sottolineare ancora una volta la drammaticità e quindi la criticità di gestione di tale problema.
In arte e in letteratura la metamorfosi è stata affrontata in una dimensione positiva (si pensi a Canova), ma anche drammatica. Dante Alighieri, riprendendo Ovidio, ha scritto terzine straordinarie sul tema, sottolineando lo sconcerto del soggetto, ma anche dell’osservatore, entrambi coinvolti in un dinamismo che sfugge di mano.
La metamorfosi – perché di metamorfosi si tratta – ha in sé una dimensione certamente positiva, ma per chi voglia guardare con oggettività c’è anche, e non va elusa, una dimensione fortemente problematica, che suscita angoscia.
Nel mio ruolo di dirigente sto facendo esperienza della vicenda di studenti che stanno affrontando negli anni di liceo la trasformazione.
Non è tutto facile. Anzi. Non lo è per loro, e non lo è per le famiglie che pure, moderne e acculturate, hanno aderito all’ipotesi di iniziare le cure ormonali già dai 16 anni. Non lo è per i compagni, né per gli insegnanti.
Siamo ancora in una fase intermedia, non solo perché il dirigente, non essendo tenuto per legge, non ha imposto il cambiamento di nome sul registro, ma anche perché, per esempio, non tutti i docenti sono disponibili a chiamare, anche nella comunicazione informale, gli studenti o le studentesse con il nome che si sono scelti. La maggior parte dei docenti ha optato per chiamare tutti gli studenti con il cognome, ma se sfugge, casualmente, il nome originario, sono scintille.
La gita scolastica? In quali camere?
Vanno tutelati sicuramente i diritti della persona, ma anche i diritti dei compagni e delle compagne. La scuola è di tutti. Soprattutto in un momento, come quello dell’adolescenza, in cui la dimensione sessuale e quella affettiva sono centrali. Lo sviluppo nella pubertà non ha lo stesso ritmo in tutti, e pretendere in tutte le compagne e i compagni la stessa livello di maturità è appunto una pretesa che mal si coniuga con quell’attenzione alla personalizzazione di cui tanto si parla.
Il paradosso è infatti che da tempo si parli di personalizzazione dei ritmi di insegnamento e della valutazione, e per aspetti così personali appunto, come quelli dell’identità sessuale, si pretenda l’omologazione, il “si deve”. Così diventa davvero complicatissima la gestione delle uscite didattiche, dell’attività natatoria in piscina, con un seno fiorente per esempio, compresso in una muta, l’esperienza degli scambi culturali in Paesi stranieri che ancora esigono che gli studenti siano distinti e assegnati alle famiglie in base al sesso indicato nel documento di identità.
La metamorfosi tra l’altro non avviene in un istante; la terapia ormonale (particolarmente severa per le donne, prima con il blocco degli ormoni femminili e la crioconservazione degli ovuli, poi l’invadenza di quelli maschili) ha una tempistica relativamente lunga.
Ne ho visto gli effetti nella capacità di concentrazione e quindi nei risultati scolastici, ho visto un affaticamento maggiore e guardo con una certa preoccupazione anche gli esiti conclusivi dell’anno.
Non è affatto detto che per un adolescente, pur desideroso di mutare la propria identità sessuale, il risultato finale della trasformazione sia totalmente convincente, né gratificante. Una voce che in pochi mesi da acuta diventa grave, la proliferazione intensa dei bulbi piliferi, siamo certi che nello sviluppo dell’adolescente non producano conseguenze gravi di natura psicologica e relazionale? Il tutto ostentato davanti ai compagni e alle compagne che, pur discreti ed informati, vivono a loro volta emozioni, amori, pudori e ritrosie assolutamente compatibili con l’età.
Il tutto stranamente nel silenzio (ipocrisia? sconcerto?), dei genitori dei compagni di classe. Genitori ormai pronti a scatenarsi nella rivendicazione continua e in questo caso silenziosi, anche un po’ apatici, forse timorosi di contraddire il politicamente corretto?
La speranza è quindi necessariamente orientata a far sì che la scuola continui ad essere il luogo di un “tempo sospeso” in cui la sensibilità, i tempi, i ritmi di ciascuno siano accolti e rispettati.
No alla pretesa violenta che una metamorfosi come quella di cui sono quotidianamente testimone sia l’esito di una violenta somministrazione farmacologica (come quella che temiamo sia avvenuta all’Ospedale Careggi di Firenze), per di più senza la costante collaborazione con il neuropsichiatra e lo psicoterapeuta. No alla scelta obbligata di una carriera “alias” per un minore, in una scuola che fatica a paragonarsi alle identità culturali, etniche e religiose sempre più incalzanti.
Sì all’accoglimento della persona nella sua originalità, nei suoi bisogni e nei suoi desideri.
Sì a corsi di affettività ed educazione sessuale capaci di descrivere con serietà, onestà e correttezza l’intera problematica, nell’attesa che il conseguimento della maggiore età garantisca, sia dal punto di vista giuridico, sia da quello psicologico e relazionale, un’autonomia decisionale. La pressione attuale, invece, mi pare una pericolosa forzatura per il soggetto interessato, ma anche per tutta la comunità scolastica.
(Un dirigente scolastico)
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