Non c’è niente da fare: è Cenerentola o in qualche caso la Bella addormentata. E però non arriva mai un principe azzurro o un gatto con gli stivali a far cambiare passo. Si parla della scuola, naturalmente: un luogo che interessa milioni di persone, ma sembra non avere volto né voce. Tutto questo, certamente, non è frutto di ieri, ma ha una storia. Dunque, come il mondo vero finì per diventare favola? Ricapitoliamo alcuni snodi relativamente recenti.
I sindacati confederali indicono uno sciopero a stretto contatto di gomito con la festa dell’8 dicembre 2020. Credibilità ottenuta dagli insegnanti: zero. Figura sociale: no comment e zero tituli. Interventi pubblici di docenti sulle buone pratiche attuate, con coraggio, durante la pandemia e magari rilanciati da quotidiani: nessuno.
I docenti si sa, peraltro, sono come gli ottimi Filippini, che fanno parte di una comunità obbediente, silenziosa, discreta. Dunque non prendono la parola che peraltro non viene graziosamente data, neanche a livello consultivo. E non avendo organismi autentici di rappresentanza, costituiscono una comoda manovalanza intellettuale a basso costo. E poi discussioni in tavole rotonde, convegni, dibattiti sul malessere dei ragazzi durante la Dad e sulla proiezione futura: pochissimi.
Ma perché accade tutto ciò? Perché questa trascuratezza esistenziale? E che cosa ha a che fare la realtà che stiamo vivendo con ragazzi che quest’anno inizieranno le scuole superiori, con ben due anni di Dad dopo le elementari? E come si potrà entrare nelle ferite di quei ragazzi (non pochi, cari lettori) che si sono letteralmente chiusi in casa per paura? E che fare con i ragazzi che sono entrati in una sorta di rinuncia alla vita, facendosi bocciare? O con quelli totalmente spericolati che non reggono più le chiusure e fanno di tutto, di più?
Tali domande necessitano di un urgente confronto aperto e condiviso, perché decisivo per l’immediato futuro. Insomma, una scuola nuova e vera è quella in cui cade, finalmente, il divieto di porre domande. E in cui si può dire, senza timore, che il modello pedagogico imperante, basato su cognitivismo, docimologia e la miriade di educazioni proposte (alla legalità, alimentare, sanitaria, sessuale, ecc.) ha in mente non la persona, ma pezzi di uomo che non si capisce bene poi come mettere insieme.
E dunque è evidente a chi sta in trincea e non sul ponte di comando che, oggi, non bastano più né psicologi, né leggi nuove e magari diverse rispetto allo scorso anno. Vanno bene certamente istruzioni più precise e non fantastici e salvifici banchi monoposto, di cui, peraltro, si ignora la fine (bunker antiatomici? Riserve strategiche? Donazioni a Ong?). Ma ci vuole di più. Siamo arrivati al capolinea. È necessaria una ristrutturazione generale, considerandola strategica per l’interesse nazionale.
La ragione medico-giuridica, post-illuministica e dominante, peraltro, non da oggi, non arriva al cuore della questione, perché non entra nel profondo della domande stesse sul senso di ciò che sta accadendo. Già Dostoevskij segnalava i limiti di una ragione chiusa al mistero e ristretta/costretta a processare la vita, essendo sempre pronta ad emanare sentenze di condanna o attenta all’igiene mentale-sanitaria come collante della vita civile. Ne I fratelli Karamazov Mitja viene condannato ingiustamente per un omicidio desiderato, ma non commesso (fallimento della ragione giuridica) e Ivan non viene creduto e ritenuto pazzo, quando dice il vero, perché ciò che sostiene mette in campo la questione del male, non misurabile a livello medico (fallimento della ragione sanitaria).
Allora, in questo strano settembre, pieno di incognite, ancora una volta la nostra ragione, aperta a tutti i fattori, sperimenta il bisogno di uno sguardo più largo che entri dentro tutta quella umanità che cerca una risposta, nonostante tutto. È necessario un abbraccio concreto e intelligente alle esigenze degli studenti, dei docenti, del personale, delle famiglie senza espellere o escludere nessuno.
Si tratta insomma di mettere al centro l’io, tutto l’io: non i suoi neuroni, la sua mente, le sue pulsioni, il suo comportamento, i suoi pezzi o le regole che possono aiutarlo, visti magari come dogmi. Semplicemente un io che trepida e cerca un senso e a cui non bastano più nuovi artifici, ultimamente cinico-scettici.
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