Rischiare vale sempre la pena anche quando, dopo l’impeto di un primo sì, saremmo tentati di ripensarci. Continuare a dipendere dalla propria esperienza ci consente, invece, di rimanere liberi, aderendo con semplicità alla proposta ricevuta. Qualcosa di simile è successo a me quando, nel 2021, ho accettato l’invito della scuola italiana “Aldo Moro” di Bucarest: riprendere l’insegnamento di quelle discipline relative alla mia classe di concorso. Sono trascorsi tre anni dal mio arrivo in Romania, ma visto che i bilanci sono “inventari fatti sempre senza amore” (C. Chieffo), preferisco attestarmi sul presente, quello che ti raggiunge e ti sorprende come “un bel giorno”.



I ragazzi che nell’anno scolastico 2021-22 iniziarono con la classe prima il ciclo triennale della scuola media, quest’anno sono arrivati in terza. All’esame di Stato dunque, la “mia” terza ha concluso il suo percorso. L’esito? Promossi tutti e 22, al termine di un’annata davvero impegnativa. Il livello scolastico non è stato dei più brillanti, ma una cosa è certa: ce l’hanno fatta, e questa, senza dubbio, è una grande soddisfazione.



Per celebrare il successo, le famiglie hanno organizzato una cena conclusiva del percorso triennale. E fin qui niente di nuovo: ho collezionato per quarant’anni cene di classe a fine anno. Questa però è stata diversa, o forse, chissà, ero diversa io. Possibile mai che il bowling di un centro commerciale – questa la location selezionata – si sia trasformato in un luogo di incontro esclusivo? Uno spazio zeppo di gente, dovunque monitor accesi per gli Europei di calcio, il gioco del biliardo e del bowling, centinaia di tavoli allineati per ospitare clienti d’ogni genere… e poi noi! Noi che abbiamo fatto gruppo, un gruppo improbabile dove maschi e femmine hanno cenato insieme, schierati all’unisono come mai era accaduto, dove genitori e prof hanno conversato amabilmente senza la preoccupazione del voto, della misura, della performance! Ho visto, abbiamo visto finalmente una classe, la “nostra”.



A quel punto siamo stati costretti a chiederci da dove fosse “sbocciata” quella unità invano perseguita (almeno così sembrava) in tre duri anni di lavoro costellati di inesausti richiami, di episodi ingiustificabili coperti sempre dalla loro omertà, di provocazioni gratuite e umilianti. Che cosa stava succedendo?

All’ingresso della sua comunità di minori pregiudicati, don Claudio Burgio ha scritto: “Non esistono ragazzi cattivi”. Aggrapparsi a queste parole è stato decisivo per ripartire ogni mattina quando, entrando in classe, ero tentata di sapere già chi avevo davanti. Venire smentiti ad una festa di fine anno è doloroso ed entusiasmante insieme. Don Simone Riva recentemente ha raccontato di avere imparato, dai suoi ragazzi, ad aspettare. Io, cui la pazienza ancora difetta, sono stata immeritatamente premiata da quella impossibile corrispondenza cui solo l’esperienza sa fornire ragioni adeguate, ragioni in grado di scalzare lo scetticismo dominante per far posto a quella speranza radicata nel presente, capace di riconoscere il mare di positività che anima misteriosamente la realtà.

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