In tutti i sistemi scolastici nei quali sono stati avviati piani di miglioramento i risultati non sono mancati e in alcuni paesi il problema del miglioramento e potenziamento del servizio scolastico è addirittura in testa all’agenda politica. Il capitale legato alla conoscenza è infatti la prima risorsa di cui dispone una comunità.
Spesso si è tentati di ritenere che il problema del miglioramento scolastico sia una questione che interessa soltanto le scuole dal funzionamento incerto e dai risultati di apprendimento insufficienti. Lo spazio di miglioramento è invece universale e vale tanto per queste ultime quanto anche per gli istituti circondati dalla miglior fama. Tutti possono migliorare. Nell’uno e nell’altro caso esiste infatti una quota di professionalità sommersa (una specie di ricchezza nascosta) che può essere mobilitata per incrementare i buoni esiti o per superare i problemi che rendono precaria la preparazione degli studenti.
I fattori mobilitanti la professionalità inespressa sono molteplici: la sperimentazione di nuove metodologie nell’insegnamento, il confronto con altre modalità di fare scuola o valutare gli allievi, l’entusiasmo trainante di un dirigente e/o di un gruppo di docenti, un’emergenza cui fare fronte, l’aiuto mutuato dalla presenza regolare di esperti nella scuola, ecc.
Sarebbe, dunque un grave errore ritenere che il miglioramento riguardi soltanto una quota di scuole: esso va pensato in una prospettiva globale, anche se – naturalmente – il miglioramento è più pressante nei casi di inefficacia formativa, perché un sistema non può vivere e pienamente soddisfare i bisogni sociali e culturali con una quota di scuole in difficoltà.
Nel nostro paese già esistono strumenti interessanti sul piano normativo in tema di miglioramento (per tutti il Regolamento del Sistema nazionale di valutazione del 2013), ma l’attenzione verso di esso è risultata finora a corrente alterna: dopo una certa spinta iniziale, si è presto registrato un vistoso appannamento successivo, tutto questo a prescindere dalla realtà emergenziale dovuta alla pandemia ma piuttosto per ragioni strettamente politiche. Il miglioramento è stato associato alla parola valutazione, quest’ultima alla parola retribuzione degli insegnanti e tutti gli sforzi per tenere distinte le due questioni sono miseramente falliti.
Il centro della politica scolastica è tornato ad essere quello degli ultimi decenni: il reclutamento del personale, meglio se in deroga ai concorsi.
Se c’è un dato che ricorre in tutta la letteratura sul miglioramento esso riguarda la necessità di prevedere una adeguata ampiezza temporale degli interventi previsti. Nessun significativo intervento è possibile nel breve periodo. Perciò è necessario un forte sostegno politico perché se e quando ci si inoltrerà su questo territorio l’impegno non sia momentaneo, ma duraturo nel tempo senza le retromarce che si sono verificate dopo il 2018.
Sempre restando a quanto suggeriscono le esperienze già compiute altrove, la predisposizione di un serio piano di miglioramento dovrebbe rispondere ad alcuni requisiti fondamentali.
1) Stabilità del personale. Non può essere efficace un piano di miglioramento pluriennale condizionato dalla instabilità/precarietà del personale. Come potrà avere continuità un programma di lavoro soggetto ad un alto numero di trasferimenti alternato a nuovi inserimenti nell’organico scolastico? Il piano di miglioramento dovrebbe essere vincolante per chi lo sottoscrive, pur riconoscendo ovviamente possibile, in determinate e ben documentate circostanze, qualche eccezione. Senza stabilità degli organici non si va da nessuna parte.
2) Priorità di interventi a favore delle scuole in difficoltà. Pur nella convinzione, come detto, dell’universalità del miglioramento, risulta tuttavia primario sostenere le scuole che, per varie ragioni, si trovano in difficoltà. A tal fine non sarebbe inutile disporre di un quadro delle scuola in emergenza in modo da incoraggiarle a entrare in un progetto che non ha scopi punitivi, ma ha finalità di sostegno e di aiuto. Non sarà difficile predisporre un database sulla base di alcuni criteri facilmente disponibili: turnover del personale dirigente e docente, tasso di assenteismo di docenti, personale amministrativo e studenti, tassi di abbandono, di ripetenza e di assenza degli studenti, media statistica dei voti assegnati a fine anno, ecc. tutti dati oggettivi che andrebbero integrati con informazioni socio-ambientali. Generalmente sono questi i fattori che segnalano gli stati di difficoltà.
3) Iniziale attività in forme sperimentali e volontarie. Si potrebbe iniziare, in una prima fase, con una serie di sperimentazioni condotte a livello regionale, meglio se in forma di rete, con un numero di istituti che volontariamente vi aderiscono e mediante il sostegno dei vari soggetti previsti dal Regolamento del Sistema nazionale di valutazione. Già questa via fu intrapresa prima della messa a punto del Regolamento del 2013 con risultati più che apprezzabili.
4) Reclutamento e impiego di tutor accompagnatori. Il reclutamento di personale scolastico in servizio e in quiescenza (non oltre 2-3 anni) da impiegare come tutor accompagnatori nelle scuole coinvolte nelle sperimentazioni costituisce un passaggio importante. Nessun processo di miglioramento può essere auto-referenziale e immaginato senza il sostegno di personale esperto sul campo. La presenza degli ispettori per la parte di loro competenza (la supervisione) e quella dei tutor accompagnatori inseriti nelle scuole sono da stimare come preziose risorse di confronto e di aiuto per superare con un “occhio terzo” ostacoli, difficoltà di comunicazione, mediare conflitti, ecc.
Noi disponiamo, grazie alle rilevazioni sugli apprendimenti compiute a livello nazionale e internazionale, di una grande quantità di dati che fotografano in modo accurato i punti di forza e le criticità del sistema formativo del nostro paese. Ma a queste informazioni, specialmente a quelle di segno negativo o problematico, non ha fatto seguito alcuna seria iniziativa per invertire la rotta. La situazione pandemica purtroppo ha aggravato il quadro, ha posto l’emergenza avanti a tutto. Ciò non significa che fin d’ora e nella prospettiva di poter uscire presto dall’emergenza non si debba cominciare a pensare al prossimo futuro.
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