Cosa sta accadendo nella scuola italiana? Ovviamente qualsiasi risposta ha un carattere fortemente soggettivo e non è detto che possa assumere una valenza generale. Ciò posto, alcune riflessioni sono possibili e forse opportune.

Dopo il rientro in presenza e la gioia del ripristino della socialità perduta (non solo per gli alunni…), adesso stiamo vivendo un periodo di bonaccia i cui esiti, tuttavia, non sono chiari. L’atmosfera è di attesa, perché il ritorno nello statu quo ante, agognato quando eravamo compressi nelle strettoie del lockdown, oggi non può rappresentare un approdo soddisfacente. Quello che abbiamo passato ha ingenerato in noi la speranza di un cambiamento, il desiderio di una “nuova scuola” che non può ritenersi soddisfatto con la riproposizione del tempo preesistente, che non ci appagava. Questo vale per i docenti e dirigenti, ma anche per gli alunni, almeno per i più grandi, che in qualche misura ne hanno coscienza e che hanno pagato duramente la delimitazione della loro vita di fronte al monitor della Dad.



Stanno per giungere i soldi del Pnrr, ma il risarcimento per ciò che la pandemia ci ha inflitto non potrà essere realizzato con mere risposte materiali. Certamente maggiori finanziamenti alla scuola, storicamente una Cenerentola tra le istituzioni, saranno ben accolti, ma non si creda che l’offerta di beni possa soddisfare le esigenze profonde che si sono innescate. Non si pensi che qualche nuova suppellettile e l’imbiancamento dei muri delle aule siano sufficienti a rispondere alle attese collettive delle persone. Neppure potrà esserlo la pur auspicabile costruzione di nuovi edifici.



Come sempre accade dopo eventi funesti come le epidemie e le guerre, chi sopravvive matura l’idea di dover cominciare d’accapo e quello spirito fa sì che le persone si attivino e ricostruiscano, tirandosi su le maniche. Se ciò non accadesse, esse si sentirebbero tradite e, alla tragedia, subentrerebbe la depressione, sotto certi aspetti peggiore della pandemia stessa.

In questo momento le scuole si sono fatte esperte nella gestione del virus e quelle superiori non se la passano male, grazie anche alla vaccinazione degli alunni. Pur non avendo i dati circa le classi poste in quarantena (già, perché non sono resi periodicamente pubblici?), ho l’impressione che nelle scuole superiori esse siano in calo, ma non così nella scuola primaria. I bambini sotto i dodici anni non sono vaccinati e il contagio, seppur privo fortunatamente di conseguenze drammatiche, continua la sua strada. Ad ogni modo, mi pare che la situazione stia migliorando e, su un piano organizzativo, le scuole sono in parte alleviate. Proprio per questo l’attesa di un cambiamento si fa ancora più pressante.



Molto si giocherà sul terreno di quello che Cesare Scurati, il grande pedagogista scomparso dieci anni fa, definiva come “educazionale”.

Egli, infatti, in un saggio del 1994 dedicato alla dirigenza scolastica, precisava che l’“educazionale” rappresenta una dimensione terza, di equilibrio tra quella “educativa”, terreno elettivo della docenza e della relazionalità con gli alunni, e quella “amministrativa”, cioè l’ambito delle funzioni che sorregge l’organizzazione scolastica, esterno al rapporto educativo. L’“educazionale” ha per oggetto la dimensione delle funzioni, ma traguarda il mondo degli alunni, seppur con un “riferimento tendenzialmente debole” a questi ultimi. Ebbene, ho la sensazione che proprio questa dimensione abbia occupato nel lockdown un ruolo centrale, perché senza un forte impulso organizzativo (grazie al quale, in pochi giorni, la scuola italiana si è trasferita on line), la funzione educativa sarebbe stata annichilita. Senza una forte incidenza del motore organizzativo, le scuole non avrebbero potuto attivare la Dad, che è, sì, criticabile, ma che ha rappresentato l’estremo legame con i giovani. L’“educazionale”, così, ha acquisito una centralità inedita.

Ciò è stato possibile nella temporanea sospensione delle prassi ordinarie, che ha innescato, in molte scuole, risorse nascoste e una insospettata creatività. I sindacati, che diffidavano i dirigenti scolastici dal porre in essere la Dad, perché non rubricata contrattualmente (come se il virus potesse essere oggetto di trattativa), si sono resi conto che quanto stava accadendo avrebbe minato gli equilibri preesistenti. Essi paventavano la perdita di quella cultura giuridica “da circolare” sulla quale hanno costruito il proprio ruolo storico, in compartecipazione con la burocrazia. Dunque, l’“educazionale” è l’ambito dove si gioca la partita, perché senza riforme, lo spirito educativo si spegne.

E questa è la posta: lasciare che l’autonomia scolastica sprigioni le proprie energie oppure tornare al passato.

Purtroppo accade che la burocrazia amministrativa abbia ripreso fiato e dopo un periodo di sostanziale assenza, essa torna ad affermare nuovamente il proprio ruolo. Alcuni Uffici scolastici regionali sembrano risvegliarsi con una sorta di attivismo che moltiplica le richieste: monitoraggi, controlli, conferenze di servizio, talora ispezioni, ecc.

Così l’autonomia scolastica, osannata nelle retoriche ufficiali, è di fatto tornata al ruolo servile di attuazione dei compiti che l’Amministrazione non svolge più, come nel caso delle cosiddette graduatorie GPS, redatte dalle scuole, anziché dall’Amministrazione, e affidate a queste ultime per i controlli. Il sistema di nomina dei supplenti è farraginoso, ma non si accetta di demandare alle scuole il potere di nominare. L’autonomia scolastica è davvero poco autonoma.

Si riattivano, nella loro pienezza obsolescente, gli organi collegiali, inadatti a governare la scuola nel mondo contemporaneo. Ma poco importa che la vita delle scuole sia ancora sostanzialmente governata dai decreti delegati del 1974.

I concorsi per gli assistenti amministrativi di fatto sono aboliti, per consentire ai bidelli di acquisire i ruoli impiegatizi nelle segreterie. Poco importa che essi non siano all’altezza dei compiti che la moderna amministrazione digitale prevede. Poco importa che molti giovani, alcuni laureati, lavorerebbero volentieri nei ranghi dell’amministrazione, anche per motivi civici di servizio… La promozione dei bidelli alle funzioni impiegatizie rappresenta un’occasione di fidelizzazione sindacale.

Senza concorsi, sono scelti i dirigenti tecnici e amministrativi, che una volta si chiamavano rispettivamente ispettori e provveditori, “presi” con procedure che hanno molto a che fare con quella sorta di spoil system all’italiana, che vede la politica penetrare nella pubblica amministrazione, come l’acqua su un terreno crettato. Poco importa che la Costituzione, inutilmente evocata da Sabino Cassese, preveda i concorsi per l’accesso nei pubblici uffici. Una volta nominati, quei dirigenti, grazie a una sequenza di incarichi, finiscono per accedere in maniera definitiva ai ruoli assegnati originariamente in via fiduciaria.

In sostanza, questo è un tempo di bonaccia in cui le barche sono alla fonda, in attesa dei venti. Ma i venti attesi hanno poco a che fare con il soffio spirituale di cui c’è bisogno a scuola.

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