Nour era arrivata tutta trafelata al centro di aiuto allo studio, e aveva dovuto aspettare perché il centro era ancora chiuso. Era arrivata anche Alice, che si era meravigliata di vedere lì Nour, di solito ritardataria. Le aveva chiesto come mai fosse così in anticipo e Nour aveva risposto che aveva un lavoro impossibile da fare, una ricerca sul cyberbullismo.



“Anche noi lo abbiamo fatto qualche mese fa, è una cosa facile, perché dici che è impossibile?” aveva chiesto Alice.

“Per le richieste del mio prof. Devo rispondere a dieci domande che non sono semplici, e lui vuole sapere tutto nei minimi particolari” aveva risposto Nour, mentre la segretaria nel frattempo aveva aperto il centro.



Nour si era catapultata dentro le aule vuote e si era accomodata nella stanza dove sapeva sarebbe arrivato il prof di diritto da cui sperava un grande aiuto.

Dopo dieci minuti era arrivato Giulio. Si era meravigliato di vedere già presente Nour, con penna e matita in mano, pronta a svolgere il lavoro assegnato. “Prof, Prof! Ho un lavoro difficilissimo da fare” aveva quasi gridato Nour, mentre Giulio le faceva il verso: “non si capisce nulla! Non riesco proprio a farlo!”

“E invece sei benissimo in grado di farlo” aveva poi ribattuto Giulio, rassicurando la ragazza che aveva reagito con un “lei dice sempre così ma non è vero!”



Giulio con pazienza aveva preso in mano le domande. “Che facili” era stato il suo verdetto.

Nour si era sentita poco presa in considerazione e aveva detto con tono serio a Giulio: “ciò che non capisco è perché devo fare questo lavoro sul cyberbullismo! A che serve?”

Giulio non se lo aspettava, ma quella era una domanda intelligente, era la vera domanda. Le altre erano tutte domande tecniche che spiegavano il fenomeno ma non riuscivano a toccarne minimamente il senso.

“E tu cosa dici? Secondo te a che cosa serve?” aveva allora chiesto Giulio rimandando a Nour la domanda.

“A niente” aveva risposto in modo spontaneo e sincero Nour, che non capiva perché mai si dovessero studiare questi argomenti.

“Be’! Facciamo così, dopo vediamo le domande, che cosa è il cyberbullismo, che cosa è una dipendenza e svolgiamo quello che ti chiede il prof, adesso però apriamo il computer e seguimi.”

Giulio aveva messo la ragazza al computer e le aveva detto di entrare nel social che preferiva. Nour lo aveva fatto con una velocità ammirevole, era proprio abile.

“Guarda bene” aveva detto Giulio a Nour, spronandola a girare in lungo e in largo nel social che aveva scelto. Dopo un po’ che navigava Nour si era fermata all’improvviso e aveva detto: “Non mi dica di elencare le ragioni per cui tutto questo è assurdo. Io lo so già, ciò che non capisco è perché io debba spendere tempo per ridire cose di cui sono già convinta. È una cosa inutile!”. Il tono della ragazza non ammetteva repliche.

“Guarda meglio. Cosa vedi? Li chiamiamo social”, aveva ribadito Giulio.

“Tanta solitudine, questo vedo” era uscito dalla bocca di Nour, che se l’era tappata subito pensando di aver detto una sciocchezza.

“Sì, tanta solitudine” aveva sottolineato Giulio.

“Ma anche questo lo so” aveva replicato Nour, sempre convinta che il compito fosse inutile.

“Proviamo a ribaltare la questione” aveva allora commentato Giulio.

“Cioè?”

“Tu vedi tanta solitudine, perché non cominci a buttare un ponte a quelle ragazze e a quei ragazzi soli?”

Nour era rimasta senza parole. Era una sfida interessante. “Adesso – aveva aggiunto Giulio – rispondiamo a tutte le domande avendo a cuore di costruire legami”.

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