Sempre più docenti mostrano resistenze ad utilizzare i voti numerici preferendo utilizzare altre forme di valutazione. Le motivazioni di questa scelta si possono così riassumere: il numero non risponde in modo adeguato agli obiettivi di apprendimento e soprattutto alle competenze raggiunte anche in modo parziale, gli si preferiscono le cosiddette rubriche valutative ritenute più adeguate; d’altra parte si ritiene opportuno instaurare un percorso valutativo più partecipativo nei confronti dei discenti, in modo che ciascuno capisca a che punto si trova in termini di profitto, ma siano chiari anche i punti di forza e di debolezza con cui costruire strumenti utili per il futuro e conferire allo stesso tempo stabilità al sapere.



Interessante è il testo di Cristiano Corsini La valutazione che educa (Franco Angeli, 2023) in cui si possono trovare tanti spunti per confrontarsi con questo modo di concepire l’attribuzione del voto che tanti docenti abbracciano. Si tratta di una breve ma scorrevole disamina dei vari “difetti” che le valutazioni numeriche comportano e compaiono utili consigli per rendere l’attribuzione del voto un momento compartecipativo, di autoanalisi e consapevolezza. È fondamentale stabilire che il momento della valutazione non è separato dal modo di concepire l’insegnamento e la programmazione ma ne rispecchia strategie, criteri e riferimenti.



Il numero senza indicatori è effettivamente freddo e non dice altro che il valore della performance come in una gara a punti, utile e chiaro nei test strutturati valutati in centesimi o decimi, ma poco adatto per una prova orale o una produzione scritta, se conferito senza alcuna spiegazione. Efficace e significativo si rivela il suggerimento di accompagnare il numero con un giudizio sintetico che fornisce gli indicatori presi in esame (lessico, conoscenze, esposizione…) con qualche indicazione specifica (migliorare la forma espositiva, oppure utilizzare le parole chiave indicate). In questo modo lo studente è reso consapevole di cosa ha funzionato bene e cosa no, comincia a costruire uno stile di apprendimento efficace e inoltre mette i docenti al riparo dalle ingerenze dei genitori che inviano mail a tutte le ore per chiedere spiegazione dell’esito delle prove dei figli.



C’è un ulteriore aspetto da evidenziare: la relazione educativa non può prescindere da un rapporto umano fatto di abitudini e routine, di stili educativi, di caratteristiche personali che nel tempo diventano note e caratterizzanti, diventano esse stesse conoscenza, per cui i discenti apprendono nel modo in cui docenti insegnano, “imitano” e conoscono l’implicito delle loro espressioni, interpretano i loro sguardi e così via, tanto che se arriva un supplente o un nuovo insegnante si deve ricominciare a prendere confidenza. I componenti di una classe imparano ad applicare i modelli di conoscenza offerti loro dai docenti, ognuno alla sua maniera, e in questo sono assolutamente autorevoli e riconoscibili.

È dunque necessario costruire un sistema di valutazione credibile dove ci si possa attendere delle risposte che siano in linea con il lavoro quotidianamente svolto. Partecipando alla lezione sono facilmente intuibili i nuclei principali degli argomenti affrontati, gli esercizi e le attività di rafforzamento anticipano i quesiti della prova di verifica (scritta e orale). Questo meccanismo di conoscenza reciproca non è esportabile all’esterno della classe, è lì che vive e si genera, pertanto i commenti dei genitori, i loro tentativi di introdursi nel sistema sono estranei alle dinamiche note e fuori luogo soprattutto quando minano (e lo fanno sempre) l’autorevolezza del docente, in particolar modo in fatto di valutazione. I loro criteri (pur sensati) non appartengono e non pertengono alla relazione docente-classe, pertanto si genereranno incomprensioni, pretese difficilmente risolvibili se non con il riconoscimento dell’autorevolezza dell’insegnante che dimostri di sapere il perché del suo agire.

Essere chiari su cosa si valuta, perché e come lo si fa aiuta molto, perché evita lo stress della prestazione negli studenti (generata spesso dalle pressanti aspettative delle famiglie che non esitano a pubblicare sui social gli esiti degli scrutini dei figli fino dai primi anni scolastici) e rende chi apprende consapevole del proprio modo di conoscere, quali sono i punti di forza da sfruttare e le debolezze da correggere. Va contestualizzato soprattutto l’esito negativo (o lontano dalle proprie aspettative), andando ad analizzare cosa non ha funzionato, come si possa provvedere al recupero, quali strategie possano essere efficaci, quali suggerimenti non siano stati presi in considerazione.

Questo è quello che s’intende quando si dice “sbagliando s’impara”, quando l’errore diventa possibilità di conoscenza e di ulteriori tentativi e non insuccesso che blocca e annienta. Come sostiene anche l’ingegner Giampaolo Dallara, “l’errore è solo errore quando non se ne capisce la causa, se analizzato e compreso, diventa conoscenza”.

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