A quasi due anni dall’approvazione della legge sulla nuova educazione civica (92/2019), introdotta nelle scuole dall’inizio dell’anno scolastico 2020-2021, bene ha fatto il ministero dell’Istruzione a emanare la Nota 16706 del 27.6.2022 sul monitoraggio delle attività svolte in questi due primi anni di sperimentazione del nuovo insegnamento. Una sperimentazione che è stata a volte contrastata nei fatti, perché è stata spesso ritenuta un ennesimo adempimento normativo difficile da realizzare, sia perché l’insegnamento è trasversale e quindi si scontra con la resistenza psicologica di tanti docenti “disciplinaristi”, abituati a lavorare individualmente con le proprie classi, sia per le complesse condizioni socio-sanitarie in cui si è trovata la scuola italiana in questi ultimi due anni.



Questo monitoraggio (che è volontario e ci auguriamo quindi che le scuole, nella loro autonomia, se ne sappiano avvalere per una prima verifica del cammino fatto) significativamente è centrato sulle attività svolte di educazione civica (non è quindi il semplice invito a una raccolta di programmazioni astratte) e costituisce perciò l’occasione di un primo bilancio del contributo alla consapevolezza civica degli studenti di questi due anni di sperimentazione.



La verifica però non riguarda solo il mondo della scuola, perché il problema del senso della convivenza tra diversi e dell’educazione alla dimensione comunitaria e alla scoperta della bellezza del bene comune che completa ed integra la ricerca del bene personale è un problema generalizzato delle nostre società (come anche recenti avvenimenti internazionali e nazionali – vedi la crisi politica attuale – documentano con evidenza).

Un libro pubblicato da Zygmunt Bauman nel 2000, La solitudine del cittadino globale, sintetizza nel titolo come l’Occidente abbia diffuso in tutto il mondo, abbia reso appunto globale, una concezione antropologica, quella del cittadino, caratterizzata da aspetti positivi come le libertà (religiosa, politica, economica, …) e le garanzie che distinguono un cittadino da un suddito.



Il versante negativo di questo insieme di libertà e di garanzie è però costituito dalla progressiva affermazione della irriducibile solitudine del singolo ridotto a individuo, con il conseguente allentamento del valore dei legami di vita comunitaria e solidaristica.

Il relativismo dei valori e il nichilismo culturale dominante nelle società democratiche, che costituiscono l’orizzonte culturale conseguente all’affermazione dell’individualismo del “cittadino democratico” non possono costituire una risposta adeguata a questo scenario di crisi del legame sociale.

Particolarmente interessante appare perciò in questo contesto la proposta che viene avanzata, nel dossier dell’ultimo numero della rivista online LineaTempo (n. 30, luglio 2022), di approfondire il valore culturale ed educativo di questo insegnamento per comprendere meglio il senso di quella “linfa vitale” che l’educazione civica, se sviluppata secondo l’intendimento inscritto nello stesso dettato della legge, sta introducendo nel nostro sistema scolastico.

Il dossier ipotizza che questo insegnamento possa diventare il focus della risposta all’emergenza educativa che attanaglia chiunque è attento alle dinamiche sociali attuali, un’emergenza tanto drammatica da aver condotto lo stesso papa Francesco a proporre un Patto educativo globale. La prospettiva del Pontefice è volta, infatti, a rinnovare il “modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta […] perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente”.

Il senso del dossier è dunque tutto nella domanda: qual è la sfida culturale ed educativa che sta dietro l’educazione alla cittadinanza?

Questa riflessione ci sembra particolarmente utile ed attuale: lo scemare della pandemia non ha certo esaurito il problema dell’emergenza educativa, specie nel mondo giovanile, dove la dedizione di molti docenti è ulteriormente cresciuta e ha sviluppato relazioni educative in ogni forma possibile, compresa l’esperienza della Dad, che ha rappresentato una scialuppa di salvataggio contro i rischi dell’abbandono scolastico.

Come notava Magatti già a fine 2021: “I sintomi c’erano già prima del Covid. Nel mondo giovanile ― un universo variegato che si estende dagli adolescenti fino ai 30-35enni ― si va diffondendo la sindrome del ‘ritiro’ dal mondo. Una fuga come via per alleggerire la tensione che rivendica il diritto all’astensione, al silenzio, all’indifferenza, all’irrilevanza, se non addirittura ― nei casi più gravi ― allo scioglimento del legame sociale. Ne aveva parlato qualche anno fa l’antropologo francese David Le Breton, che qualificava questo nuovo modo di essere giovanile col termine ‘biancore’: un’apatia, una distanza che rivela l’impellente bisogno di prendere congedo da sé come risposta alla fatica di essere se stessi. Ora il Covid ha radicalizzato e moltiplicato questa sindrome. In molte scuole si segnalano casi di ragazzi che non frequentano più le lezioni, mentre i tanti centri di assistenza psicologica aperti in questi anni di pandemia sono affollati di genitori che non sanno più come trattare i figli che non escono di casa”.

La tragica diffusione planetaria della pandemia da Covid 19, con le relative varianti, i massicci flussi migratori generati da povertà e guerre (come non citare il conflitto russo-ucraino che, oltre a sconvolgere i fondamenti del diritto delle nazioni e dei rapporti internazionali, sta evidenziando nuovi e complessi equilibri geopolitici) nonché il crescente surriscaldamento del pianeta, obbligano tutti ad abbandonare visioni stereotipate, spesso egoistiche e difensive, e ad acquisire consapevolezza di “trovarsi tutti sulla stessa barca” in una situazione di forte incertezza sul futuro.

In questo contesto di progressiva complessità, diventano sempre più necessarie visioni lungimiranti e nuovi modelli di vita scolastica orientati a colmare quel deficit tra scuola e vita che da sempre affligge il nostro sistema scolastico. Solo così sarà possibile attivare risposte efficaci al senso di disorientamento che, oltre a provocare nuove forme di isolamento, favorisce spesso rigurgiti di violenza irrazionale e di sballi criminogeni.

Solo sbloccando la “valvola” e provocando così la fuoruscita del male oscuro, si riaprirà un orizzonte di rinnovata fiducia nella positività del reale e nella capacità dell’umano di intessere relazioni fondate non sul sospetto, ma sulla reciproca fiducia, sulla riscoperta del senso della comunità (a partire da quella scolastica) e sull’accettazione e il dialogo tra diversi.

Da questo punto di vista le scuole che meglio hanno mostrato una capacità di resilienza di fronte all’emergenza socio-sanitaria sono quelle in cui, tra adulti, si sono instaurate sul piano professionale, relazioni significative.

La riscoperta del ruolo essenziale della relazione educativa ha portato molti a reperire energie e senso di responsabilità per attraversare la miriade di disposizioni amministrativo-burocratiche e costruire invece una rete di relazioni “costruttive”, basate sulla comune passione educativa oltre che sulla professionalità dei rapporti.

A tali condizioni queste équipes scolastiche sono state in grado di incontrare (e supportare) il bisogno e i disagi manifestati dagli alunni e dalle loro famiglie.

Le dinamiche relazionali tra i diversi attori scolastici (dirigenti, coordinatori, docenti), non più centrate sull’adempimento di procedure, ma su una condivisa capacità di rispondere alle esigenze della realtà, stanno già promuovendo metodologie didattiche attive e intelligenti oltre che creative declinazioni dei saperi disciplinari, capaci di suscitare l’interesse dei ragazzi per il presente e per il futuro (cfr. il contributo di Franco Lorusso, Leadership e processi innovativi. Il contributo dell’Educazione civica per innovare schemi organizzativi e didattici).

A questo proposito l’educazione civica, se intessuta di esperienze significative e considerata come una “via pratica” per la riscoperta dei valori sociali, potrebbe avere un ruolo strategico per ricostruire il tessuto valoriale e le capacità relazionali dei giovani (cfr. l’articolo di Dario Eugenio Nicoli, Il farsi dell’umano. Un curriculum e un canone per l’Educazione civica).

Sulla radice antropologica della relazionalità e sul valore ermeneutico delle pratiche sociali per la costruzione di comunità capaci di contrastare la deriva individualistica della società “liberale”, insiste anche l’articolo di Sante Maletta, Alle radici della relazionalità. L’aristotelismo sovversivo di Alasdair MacIntyre.

Il nodo culturale è proprio il lavoro sulla relazionalità: che va riscoperta non solo sul piano etico per riequilibrare il rapporto uomo-natura e moderare l’individualismo, ma come la struttura costitutiva fondamentale della personalità umana, e quindi il luogo generativo della possibilità di rifondare in modo autentico le basi della convivenza tra gli uomini.

Valorizza questa prospettiva il progetto educativo sviluppato dall’Associazione DiSAL (Dirigenti scuole autonome e libere) in questi due anni, che qui viene presentato nella sua specificità, caratterizzata dalla trasversalità e dalla forma esperienziale dei percorsi, (cfr. a questo proposito l’intervento di Elena Cappai, L’insegnamento trasversale dell’educazione civica: una sfida per la scuola italiana. Costruire percorsi trasversali centrati su “compiti di realtà”).

Questa modalità di lavoro scolastico, ben diversa dal prescrittivismo etico e dalla deriva cognitivista di tanta educazione civica, ha mostrato nei fatti (è stata infatti sperimentata in numerosi corsi che hanno coinvolto centinaia di docenti e decine di scuole o reti di scuole) la capacità di favorire la crescita del senso di relazione della comunità giovanile scolastica, soprattutto nel senso della coesione e della inclusività, ma anche la capacità di far assumere un ruolo attivo e responsabile e propositivo verso il contesto sociale e territoriale, fino ad arrivare a riscoprire la primaria valenza formativa della valutazione. (cfr. l’articolo dedicata al processo valutativo da Rosario Mazzeo, Educazione civica e valutazione: una prospettiva globale. La valutazione come risorsa per il cambiamento).

La prospettiva “esperienziale” non è certamente prerogativa solo dei percorsi promossi da DiSAL, (in questo senso vengono presentate anche le interessanti esperienze promosse da Istoreto nell’articolo di Federica Ceriani, Percorsi trasversali di educazione civica: una sperimentazione in atto),ma nel complesso è ancora una prospettiva minoritaria, a causa della “rassicurante” applicazione della normativa secondo un taglio burocratico-redistributivo dell’insegnamento tra le varie discipline.

Occorre avere oggi il coraggio di rischiare di cambiare lo sguardo sul ruolo che ha la scuola nel processo di formazione. La scuola non è solo il luogo dell’apprendimento dei saperi, ma è il luogo culturale per eccellenza per la crescita di un io maturo e responsabile di fronte al reale (senza ridurlo al ciò che si “sente”), capace di partecipare attivamente alla costruzione del bene comune della comunità e quindi a sviluppare un io in relazione, pronto a realizzare un “noi in azione”.

In questa prospettiva l’insegnamento dell’educazione civica può diventare una leva strategica per ricucire il rapporto scuola-vita attraverso relazioni educative e progettazioni didattiche che siano centrate sulla valorizzazione di “esperienze autentiche” come via alla costruzione di rapporti più veri con gli altri e con la realtà naturale in cui si è inseriti, in definitiva per riconoscere “il bene comune” come il fine umano autentico (purpose) della scuola.

Sul piano culturale occorre poi riscoprire la valenza formativa primaria dell’esperienza, perché, come ci ricorda C.S. Lewis in Sorpreso dalla gioia: “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi ma l’esperienza non sta cercando di ingannarvi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”.

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