La nuova maturità sta per concludere il suo debutto e a caldo (molto, troppo caldo) se ne può tentare un primo bilancio. È andata bene, molto bene sul piano della semplificazione e del definitivo congedo da quegli arnesi didattici che la ventennale usura aveva reso ormai inservibili: la terza prova e la tesina. È andata male per il permanere di un’aura retorica che circonda l’esame e per l’incertezza nel dirigere la barra da parte di chi, nelle stanze più alte, sceglie le direzioni di sviluppo della scuola italiana.
Accenno ad esempi disparati, apparentemente secondari, ma rivelativi di atteggiamenti e convergenti sul piano dei significati.
Autorevoli intellettuali firmano appelli perché vedono la dignità degli studi storici minacciata dalla banale modifica del sistema di classificazione delle tracce nella prima prova; probabilmente manca loro la percezione del peso specifico (in realtà molto basso) che questo esame mantiene. E confondono la presenza sui giornali con la rilevanza nell’indirizzare gli studi o forse peggio, la difesa della cultura con quella della corporazione.
Da vent’anni il ministero invita, durante gli scritti, ad isolare le scuole da internet per le intere giornate di prova scritta, fingendo di non sapere che, se i ragazzi provano a copiare, lo fanno con strumenti di connessione propri e non certo con la rete di istituto. Il risultato è che le segreterie perdono due o più giornate di lavoro (ormai tutte le pratiche avvengono utilizzando la rete); ma questo poco conta davanti alla volontà di solennizzare l’esame e simulare una severità che nei fatti non esiste più da molti lustri.
Il colloquio, vera grande novità di questo esame, ha il suo nuovo perno nel materiale imbustato dell’avvio. Giustamente (e finalmente) si scrive che non lo si deve frammentare in tanti rivoli disciplinari. Ma poi ci si dimentica di cancellare dalle disposizioni operative una infelicissima espressione che era stata all’origine della giustapposizione disciplinare dei precedenti esami: “i commissari conducono l’esame in tutte le discipline per cui hanno titolo”. Come dire: non trinceratevi dietro la vostra etichetta disciplinare, ma non dimenticate che siete rappresentanti di una o più etichette disciplinari che alla fine devono venire allo scoperto, a dispetto di tutti gli inviti a valutare il profilo complessivo dello studente.
Ultima questione, l’alternanza scuola lavoro che entra all’esame, ma sotto falso nome, perché chi guida la nave ha cambiato nottetempo la scritta a poppa e non c’è più l’alternanza scuola lavoro (Asl), ma ci sono i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto). Così lo studente che ha fatto l’Asl per tre anni te ne parla, ma tu scrivi sui verbali che ti sta raccontando i Pcto, anche se lui non sa nemmeno che cosa sono. Ti consoli pensando che forse nemmeno chi ha cambiato il nome alla nave lo sa, tanto che in sei mesi non ha trovato modo di spiegartelo, licenziando le linee guida.
Cosa c’entra l’appello degli storici con la chiusura di internet durante le prove e il nuovo colloquio fatto di buste, Pcto, profili e discipline?
La scuola italiana vive una dilacerazione, una spaccatura percepibile a volte anche nei collegi docenti, che è figlia di una crisi di identità. Assomiglia ad una attempata signora che ha comprato bei vestiti nuovi, ma ha gli armadi che scoppiano e non si sa decidere a gettare i vecchi. Così prova a tenerli tutti: apre al rapporto col lavoro, ma poi se ne spaventa e lo camuffa; dice che quel che conta è il profilo di competenze in uscita, ma teme di rompere il nesso con la tradizione disciplinarista e la ripropone; dice di voler esercitare un controllo severo sui risultati, ma cambia l’esame abbassandone il peso rispetto ai crediti di percorso.
In attesa di scelte coraggiose, quello a cui qualcuno si aggrappa è il rito, che appassiona più gli esterni alla scuola che gli interni, ma almeno assicura visibilità e cerca di offrire l’immagine di una scuola in buona salute.
Per chi ha fatto gli esami la certezza oggi è che anche quest’anno scolastico finirà; con lui finiranno le saune nelle nostre scuole senza condizionatori e, come sempre, anche il lavoro profuso dalle commissioni finirà… racchiuso in un foglio di carta spessa chiusa da un po’ di spago e due sigilli di ceralacca. Come direbbe Bogart: “È il pacco, bellezza, e tu non ci puoi fare niente, niente!”.