L’intento dichiarato del ministero dell’Istruzione e del Merito è che alla pubblicazione delle “Nuove Indicazioni 2025” per il primo ciclo di Istruzione segua un ampio di battito fra le parti interessate (associazioni professionali, esperti, parti sociali) perché si possa procedere a una stesura definitiva.
Si tratta di un documento particolarmente impegnativo, di ben 154 pagine, la cui elaborazione ha coinvolto un team di esperti, prevalentemente docenti universitari, con un numero che arriva a coinvolgere 112 persone.
Le precedenti Indicazioni, emanate nel 2012 (DM 254/2012) avevano coinvolto un team di 40 persone con un nucleo redazionale di soli 4 esperti e presentavano questa struttura: dopo una breve introduzione si sottolineavano le finalità generali con un’attenzione particolare alla relazione fra scuola, Costituzione e dimensione europea, coerentemente alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa e alle otto competenze chiave; si delineava il profilo dello studente e si procedeva con un indice molto essenziale (1. Dalle indicazioni al curricolo, 2. Le aree disciplinari, 3. Continuità e unitarietà del curricolo, 4. Traguardi per lo sviluppo delle competenze, 5. Obiettivi di apprendimento, 6. Valutazione con particolare attenzione al Sistema nazionale di valutazione).
Ricordiamo che nel 2017 il documento è stato arricchito da un testo sui Nuovi scenari, altre 19 pagine centrate in particolare sui temi della sostenibilità e della cittadinanza, e nel 2023 a seguito del DM 184 è stato pubblicato un altro breve documento sulle Linee guida relativo alle discipline STEM.
Come si è già sottolineato, si tratta non tanto di una bozza ma di un documento aperto a indicazioni, proposte di correzione o integrazioni che il mondo della scuola vorrà offrire.
Certo è che l’impianto appare molto discutibile, esprimendo un contesto – mi si perdoni il gioco di parole – in cui la parola d’ordine sembra essere il ritorno all’ordine.
Già la lunghezza del testo, in una società che promuove l’essenzialità nella comunicazione, appare parzialmente sconcertante, ma quello che a chi scrive sembra meno convincente è che, ad una prima lettura, il lavoro non riesca a cogliere il contesto in cui la scuola italiana oggi si trovi ad operare.
La struttura del documento ha questo tipo di impianto: dopo un’ampia premessa relativa all’organizzazione dei lavori nella commissione e alla cultura che fa da sfondo alle nuove Indicazioni, troviamo un capitolo specifico per la scuola dell’infanzia, un capitolo riservato al passaggio alla scuola primaria e i successivi relativi alle discipline (perché si studia quella particolare disciplina, le finalità dell’insegnamento, le competenze attese, gli obiettivi specifici, le conoscenze, esempi di moduli interdisciplinari, suggerimenti metodologico-didattici per l’ibridazione tecnologica).
Il testo si chiude con alcuni report europei e il testo preliminare della commissione di studi.
Ovviamente si rimanda alla lettura approfondita ed integrale del testo stesso.
L’impressione è che la prospettiva sia prevalentemente accademica, di un contesto cioè sicuramente colto e preoccupato di porre la formazione al centro delle attenzioni, anche politiche, ma assai distante dall’attuale ambiente di apprendimento; caratterizzato – soprattutto nel primo ciclo di istruzione – anche dall’alto numero di studenti neo-arrivati o di recente immigrazione, con enormi problemi di carattere linguistico, senza i quali molte aule nelle nostre scuole sarebbero ormai vuote e che, vogliamo ricordarlo, in questi anni hanno determinato uno sviluppo particolarmente significativo della didattica dell’italiano come L2.
Ci saremmo inoltre aspettati, almeno in premessa, un’attenzione particolare a quanto la pandemia ha drammaticamente modificato dinamiche psicologiche, relazionali e quindi anche cognitive dei nostri bambini e preadolescenti, a quanto la disgregazione dei nuclei familiari abbia prodotto non solo nuove fragilità, ma sia all’origine di gravi conflitti fra scuola e genitori; a quanto, per l’incremento dei disturbi di apprendimento, siano aumentate le diagnosi che impongano alle scuole, soprattutto a quella primaria e alla secondaria di primo grado, una rivisitazione dei curricula in termini di personalizzazione e/o differenziazione.
Ci saremmo anche attesi un maggiore riconoscimento di quanto la scuola, certamente anche in collaborazione con le università, abbia messo in campo in termini di innovazione, magari con precisi richiami a esperienze passate o presenti che dicono di una realtà capace di inclusività ma anche di ricerca e innovazione, di attenzione reale ai bisogni e alla ricchezza di ciascuno studente.
Ci saremo aspettati un richiamo forte alle potenzialità che l’introduzione all’educazione civica ha offerto in questi anni, come apertura alla dimensione di approfondimento della ricchezza delle prospettive di questa disciplina in termini di partecipazione attiva alla vita del Paese, anche in relazione al rapporto con l’ambiente e alle competenze digitali.
Last but not least, avremmo gradito un’attenzione particolare delle Indicazioni al tema dell’orientamento alla scuola superiore, un’altra sfida che la scuola secondaria di primo grado si trova costantemente ad affrontare.
Il testo ci appare sostanzialmente ripiegato, soprattutto nelle parti introduttive, su aspetti di tradizionalismo, di ritorno all’ordine, di toni in alcuni casi fortemente sanzionatori rispetto ad eventuali trasgressioni, che non solo rischiano, come già accaduto nelle prime dichiarazioni, di scatenare una fortissima opposizione di quella parte della scuola (e soprattutto nella scuola statale si tratta di una presenza maggioritaria) che non si riconosce nelle linee dell’attuale Governo, ma anche di coloro che, con toni più moderati, non vedranno riconosciuti anni di ricerca e innovazione didattica.
Il registro dei paragrafi, definiamoli pure di natura epistemologica – “Perché si studia l’italiano”, “Perché si studia il latino”, etc.) presenta un tono tra il profetico e il didascalico che poco si addice a un pubblico di professionisti, che da anni quotidianamente studia e paragona i propri studi teorici con la fatica ma anche la bellezza di un quotidiano lavoro con occhi e orecchie di bambini e ragazzi che chiedono ancora, fortunatamente, di essere accompagnati nella comprensione della realtà. Un tono che tra l’altro rischia di impedire un dibattito sereno e non conflittuale, di carattere tecnico e non immediatamente politico.
Attendiamo da chi vorrà intervenire un più approfondito esame di quello che sarà destinato maggiormente ad essere oggetto del dibattito pubblico, il capitolo sull’insegnamento della storia, autorevolmente coordinato dal prof. Galli della Loggia, stimatissimo esperto, a cui tuttavia chiediamo di riflettere su alcune palesi incongruenze dell’ipotesi or ora pubblicata.
Mi permetto solo di cogliere una certa forzatura nella prospettiva quasi esclusivamente occidentale, nel ritorno a una storia proposta in alcuni casi come catalogo di grandi personalità e nell’incongruenza della contemporanea reintroduzione del latino nella scuola secondaria di primo grado senza che la storia romana (proposta anche nelle precedenti Indicazioni negli ultimi anni della primaria) possa costituire il necessario sfondo di contesto.
Trovo assai semplificatori e anche talvolta irriverenti della professionalità docente alcuni passaggi del documento relativi a ipotesi di percorsi interdisciplinari e i suggerimenti per le cosiddette “ibridazioni tecnologiche”. In questi casi la scuola reale ha tanto in più da insegnare al legislatore e pertanto si tratta di paragrafi davvero poco coerenti alle attese dei docenti e degli studenti.
Ci saremmo attesi un approfondimento degli aspetti relativi alla valutazione, anche in collaborazione con l’INVALSI e gli altri istituti europei, e un richiamo esplicito a quanto si sta facendo nelle scuole anche grazie ai fondi del PNRR, che nei casi più illuminati stanno modificando profondamente la didattica quotidiana.
Si attendono dagli interventi degli esperti dell’area scientifica e matematica valutazioni più approfondite in materia; ad una prima lettura queste sembrano più coerenti alle precedenti e contemporaneamente più ricettive di alcune innovazioni sia metodologiche che didattiche.
Veniamo, per concludere, ad alcune sezioni del testo particolarmente positive ed interessanti, capaci di recepire in modo più proficuo l’innovazione didattica, già da tempo patrimonio della scuola: gli allegati di carattere internazionale, la sezione dedicata alla scuola dell’infanzia, quella indirizzata alla didattica delle lingue straniere (ma qui viene in aiuto il Framework europeo), quella relativa alle scienze motorie (molto sobria ma anche molto ricca di spunti interessanti) e quella musicale, e qui il coordinatore era addirittura il maestro Uto Ughi, pertanto non c’è storia.
In cauda venenum (ma al ministero auspicano il ritorno del latino, e latino sia): si richiede alle scuole di studiare il documento e di far pervenire nelle sedi opportune riflessioni e suggerimenti. Ma lo sanno, al ministero, che nelle scuole si è quasi a fine anno e soprattutto la scuola primaria è stata travolta, dal ministero stesso, dall’obbligo di cambiare in corso d’anno la scheda di valutazione?
Sarebbe anche questo un importante tema di dibattito, non se ne ravvisava certo la necessità impellente e soprattutto in corso d’anno.
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