Mentre si comincia a intravedere la possibilità di tornare alla didattica a distanza (che comunque in alcune scuole è in parte sempre attiva: si parla di “didattica digitale integrata”) la Cgil ha presentato i dati di un’inchiesta che ha realizzato la scorsa primavera in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, l’Università di Roma Sapienza e l’Università di Teramo.



Come al solito, si sarebbe fatto prima a interrogare i docenti più esperti e autorevoli che per fortuna ancora lavorano nelle scuole italiane (mentre cercano di capire come “cambiare aria” il prima possibile, per mezzo di dottorati, aspettative, pensionamenti…).

Il giudizio sulla didattica a distanza è sostanzialmente negativo: il carico di lavoro è aumentato per due docenti su tre (e solo chi non insegna nella scuola può pensare che in precedenza fosse troppo leggero), e al tempo stesso non è stato possibile mettersi in contatto con un numero non trascurabile di ragazzi (solo il 30% degli intervistati ha raggiunto con la didattica a distanza tutti i propri alunni).



Il digitale può aiutare, ma come tutti gli strumenti può anche diventare un ostacolo. Soprattutto quando il suo ingresso massiccio nel mondo dell’insegnamento è così repentino. Non è tanto una questione di preparazione (emerge che circa il 60% dei docenti ha potuto usufruire nei mesi scorsi di iniziative di formazione), quanto di esperienza sul campo, senz’altro limitata, prima del 2020.

Aggiungiamo che in generale le tecnologie come mezzi per migliorare l’apprendimento hanno una modesta efficacia. Si possono vedere a questo proposito gli studi del prof. Antonio Calvani, già ordinario di didattica e pedagogia speciale (per esempio “Per un’istruzione evidence based: analisi teorico-metodologica internazionale sulle didattiche efficaci e inclusive”).



Naturalmente tutti sono consapevoli che la didattica a distanza è legata a una situazione di emergenza. Però deve essere chiaro che non è uno scopo, ma un mezzo di limitata efficacia e di notevole impatto, complessivamente non troppo positivo.

È necessario inoltre che i dirigenti scolastici, i docenti, le famiglie e possibilmente i giovani capiscano che in questa situazione non possono buttare sulle fragili spalle degli altri la responsabilità dell’educazione. Ciascuno si deve muovere per crescere e far crescere, nelle circostanze date. Non si può attendere il “mago Internet”.

In questo contesto, ha senso forse anche richiamare il fascino della carta stampata. Stimolando lo spirito contestatario dei giovani (se ancora esiste), in questi tempi di isolamento forzato si potrebbe enfatizzare l’importanza della lettura di un libro e della scrittura delle proprie osservazioni su un quaderno.

Non per demonizzare la tecnologia (anzi: perché non mandare al docente qualche foto degli appunti presi sul proprio quaderno?), ma per restituirle il ruolo di strumento e per far comprendere che esiste e resiste un modo “analogico” di guardare al reale.