Giorni fa un importante quotidiano ha dedicato un’intera pagina al fenomeno delle scuole occupate, che quest’anno avrebbe riguardato solo Roma. Sorprendente!
Attualmente insegno in due diversi licei scientifici piuttosto lontani dalla capitale: entrambi, prima della sospensione natalizia, sono stati occupati per quasi una settimana, e la lista degli istituti che hanno subito la stessa sorte, nella mia città, è lunga.
L’articolo si soffermava sui motivi che hanno portato gli studenti romani a protestare. Naturalmente sono gli stessi di tutti gli altri adolescenti italiani: ingressi a scuola scaglionati (ma non era una delle esigenze per poter tornare in presenza?); rivendicazioni politiche assortite; stato fatiscente degli edifici; disagio psichico provocato dalla Dad (e qui il giornalista è costretto ad ammettere che il problema riguarda ogni regione).
Il pezzo termina in gloria: “Saranno questi ragazzi romani, così soli per ora, a farci riflettere tutti sul vero ruolo che deve avere la scuola in tempi così cupi, così incerti?”.
Se è vero che nel mondo di oggi tutti noi tendiamo a non guardare oltre l’ombelico, l’autore dell’articolo fornisce un esempio da manuale. Sarà uscito di casa, avrà fatto un giretto nel proprio quartiere, se va bene avrà posto una domanda a un paio di adolescenti e sarà rientrato presumendo di poter scrivere un articolo informato sul tema.
In Italia spesso i mass media parlano di scuola in maniera approssimativa.
Non è un caso se il 17 dicembre scorso, Antonio Nizzoli, ricercatore dell’Osservatorio di Pavia, presentando il Quarto rapporto Illuminare le periferie. Speciale povertà, ha detto (parlando dei telegiornali del prime time e dei programmi di informazione delle principali reti televisive): “I problemi della scuola in generale e anche le prospettive, le opportunità di un settore così importante come ascensore sociale vengono praticamente ignorati”.
Si era già capito. Perfino in un periodo delicato come quello della pandemia, si è parlato della scuola quasi esclusivamente come luogo in cui poter mandare i ragazzi a socializzare, lasciando così un po’ più liberi i genitori.
Come può scaturire un serio dibattito pubblico sull’educazione in Italia, se le basi sono queste? Non potremo certo chiedere aiuto ai social network.
A proposito di discussione: avrei alcune domande da porre.
Ancora occupazioni? Nel 2021? Con le solite motivazioni “sentite e risentite”? Verrebbe da aggiungere, per quelle che hanno riguardato città diverse da Roma: con tale visibilità?
Roba da far cadere le braccia alla Venere di Milo.
Ma è chiaro che finché i genitori appoggeranno i figli, i docenti elaboreranno risposte deboli e le forze dell’ordine si guarderanno bene dall’intervenire… siamo destinati a subire in eterno questi eventi stagionali.
Potrebbe però esserci un risvolto positivo: magari alla fine anche i commentatori più distratti si renderanno conto dell’estensione del fenomeno.
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