0Ieri l’altro, 5 dicembre, presso l’Università di RomaTre, l’Invalsi ha illustrato gli esiti dell’indagine PISA (Programme for International Student Assessment) condotta nei Paesi aderenti all’OCSE e non solo. La ricerca riguarda tre ambiti fondamentali che sono la lettura, la matematica e le scienze e ormai ha assunto un forte rilievo a livello mondiale, grazie alla sua reiterata somministrazione e alla partecipazione di molti Paesi e di centinaia di migliaia di studenti quindicenni (in quella del 2020, oggetto del nostro discorso, sono stati coinvolti 81 Paesi e circa 690mila alunni). L’indagine si è incentrata soprattutto sull’analisi delle competenze trasversali e del lifelong learning e inoltre ha riguardato anche il “pensiero creativo” e la literacy finanziaria, i cui risultati tuttavia non sono stati ancora resi noti.



A livello generale, prima facie, si nota un peggioramento dei risultati rispetto alle precedenti rilevazioni, probabilmente dovuto agli anni di pandemia, ma questa generale negatività si declina in maniera particolare e specifica nel nostro Paese.

In matematica gli alunni italiani calano il loro rendimento di ben 15 punti rispetto alla precedente indagine, anche se contestualmente si registra un miglioramento in scienze di 9 punti. Suscita disappunto, tuttavia, sempre in matematica, il gender gap che in Italia è più accentuato che altrove e che penalizza le ragazze di ben 9 punti rispetto ai ragazzi. Ciò viene compensato parzialmente, nella lettura, dai migliori risultati delle stesse rispetto ai coetanei maschi, mentre nelle scienze i risultati più o meno si equivalgono. Un altro dato, tuttavia, appare inquietante ed è quello che registra il divario tra Nord e Sud della penisola. Se si constata, ad esempio, che il 70% degli studenti italiani in matematica raggiunge o supera il livello di base, la divaricazione tra le differenti regioni è tuttavia molto forte. Infatti, il gruppo di alunni sufficientemente o molto preparati si trova per l’82% nell’Italia settentrionale e solo per il 54% nelle regioni meridionali. In sostanza, in queste ultime regioni si evidenzia come vi sia una quota particolarmente alta di alunni che non hanno conseguito risultati sufficienti.



Alcuni opinionisti considerano comunque che, tutto sommato, le cose non vadano male, perché gli alunni italiani non si discostano molto dalla media dei Paesi che hanno partecipato alla ricerca e rientrano, più o meno, nella media dei Paesi OCSE. Una tale valutazione, tuttavia, non vale certamente a garantirci sonni tranquilli, se si considera che l’Italia è tutt’oggi uno dei Paesi più ricchi del mondo, che dovrebbe collocarsi tra quelli più evoluti nella cultura in generale, nelle arti e nelle scienze. A maggior ragione, dovremmo avvertire una certa inquietudine se si considera che i 471 punti ottenuti dagli alunni italiani sono lontani in misura stellare dai 575 conquistati dagli studenti di Singapore, che occupa una delle migliori posizioni.



Circa questi risultati, tuttavia, è ancora troppo presto per formulare una valutazione ponderata, ma una considerazione nasce quasi istintivamente. Dal prossimo anno, ormai imminente, sarà trascorso mezzo secolo dal varo dei Decreti delegati che risalgono, appunto, al 1974. La scuola italiana è stata sottoposta, negli ultimi decenni, a varie riforme (per esempio quella del ministro Moratti, poi quella del ministro Gelmini e infine quella renziana, cosiddetta della Buona scuola), ma non si è mai toccato quella sorta di deep school che è la governance della scuola, regolata da quei decreti pressoché inalterati nel tempo. Essi prevedevano la partecipazione al governo della scuola del personale interno (soprattutto dei docenti), dei genitori e degli alunni, ma quel disegno è stato sostanzialmente disatteso e oggi si registrano sempre maggiori difficoltà nelle attività degli organi collegiali. La loro vita, infatti, è sempre meno partecipata, salvo nei casi in cui entrino in gioco gli interessi di lavoro. Oggi poi, con le riunioni on line (ultima eredità della pandemia, dopo la cancellazione con ignominia della Dad), anche la partecipazione dei docenti ai lavori del collegio si è infiacchita o addirittura resa evanescente. È evidente come la persistenza degli attuali organi collegiali sia di impedimento allo sviluppo dell’autonomia scolastica. Forse dovremmo valutare anche questo aspetto, per analizzare i magri risultati di PISA-OCSE.

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