Appena alzato, come ogni mattina, apro i social per il quotidiano “scrolling” mattutino. Nessuna polemica “sanremese”, nessun nuovo scoop su presunte separazioni di coppie storiche dello star system italiano. Un articolo del Corriere della Sera postato da un amico titola “La Russia ha invaso l’Ucraina”. Accendo la tv e trovo la direttrice del Tg1, Monica Maggioni, già impegnata in uno speciale sulla neonata guerra in Ucraina. Seguo con attenzione e apprensione quanto viene detto e penso alle cinque ore di lezione che mi aspettano a scuola.
Insegno in un liceo classico e in questo periodo siamo alle prese con il “recupero degli apprendimenti” e le ore curricolari di educazione civica. Il programma di lezioni che avevo immaginato una decina di ore prima salta. La nuova scaletta la detta il desiderio di non disperdere quel tuffo al cuore avuto al momento della lettura della notizia.
Un caro amico romano ha sintetizzato in maniera efficace e colorita la tendenza che ci attanaglia tutti a disinteressarci di tutto ciò che non riguardi direttamente noi o i nostri interessi immediati: “A ‘n parmo dar culo mio chi more more, chi campa campa”. Anch’io, come tutti, sono immerso in questa cultura del disinteresse, ma i tanti maestri che ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada mi hanno insegnato – più con lo sguardo e la vita che con le parole – che, se anche questo è vero, è possibile aprire gli occhi e lasciarsi toccare dalle cose, da quanto accade. Rem tene, verba sequentur: questa è la preoccupazione del momento, i contenuti delle lezioni verranno di conseguenza.
In quarta avrei dovuto assistere ad una lezione a classe capovolta su Purgatorio 12. Rilievi con esempi di superbia punita sono cesellati nella roccia della montagna purgatoriale sul suolo della prima cornice. I superbi, costretti a portare sulle spalle pesantissimi macigni che li schiacciano a terra (in latino humus, da cui la virtù contraria alla superbia, l’umiltà) sono altresì costretti a guardare le punizioni dei loro illustri predecessori mitici e storici.
La mente va all’ultima lezione sul Purgatorio (10, 121-127): “O superbi cristiani, miseri lassi, / che, de la vista de la mente infermi,/ fidanza avete ne’ retrosi passi,/ non v’accorgete voi che noi siam vermi/ nati a formar l’angelica farfalla,/ che vola a la giustizia sanza schermi?”. La pertinenza di questi versi alla situazione attuale mi conferma la bontà dell’iniziativa. Entro in classe, racconto ai ragazzi queste cose e cominciamo a seguire insieme lo speciale del Tg1. Ci lasciamo con i compiti a casa di educazione civica: seguiamo le notizie dall’Ucraina e a gruppi (cronaca di guerra, reazioni internazionali, ripercussioni economiche eccetera) le organizzeremo in una rassegna stampa quotidiana.
Nel primo anno, dove insegno greco, tre studenti devono recuperare il compito cui erano assenti, una ragazza è a casa col Covid e si collega in Dad. Gli altri 21 mi guardano tesi nella speranza che saltino le interrogazioni programmate per oggi. Non posso non tenere conto della realtà, ma non posso tuttavia non pensare a quanto accade a 2mila km da noi. Lo faccio notare ai ragazzi e insieme studiamo le famiglie lessicali della “guerra” in greco antico. Lo facciamo con la coda dell’occhio alla guerra reale.
Nell’altro primo anno mi aspettano ancora più tesi: interrogazioni “matte e disperatissime” di epica e grammatica. Proprio ieri avevamo finito il recupero curricolare di storia: una studentessa aveva schematizzato su un’ottima linea del tempo le date più significative della storia greca, dalla Guerra di Troia alla Guerra del Peloponneso. L’ultima data era stata la n. 23.
Entro in classe e scrivo alla lavagna la data n. 24: 24 febbraio 2022. Dopo 77 anni di pace sul suolo europeo si riaffaccia la guerra. Avevamo studiato in educazione civica la Costituzione italiana e la nascita dell’Unione Europea. Conoscevano bene quel numero: 77. La tensione per le interrogazioni si ferma: una nuova nasce dall’attesa e dall’attenzione che mi accordano nonostante la stanchezza.
Che cos’è la guerra? Lo scopriamo leggendo Iliade 22, 437-472. Andromaca, moglie dell’illustre Ettore, è ancora ignara della sorte del marito, morto nel duello col divino Achille. Ad un certo punto sente dei gemiti provenire dalle mura, ha un terribile presentimento: “Dicendo così, si precipitò fuori di casa come una pazza,/ col cuore in sussulto: […] si fermò sulle mura, guardando febbrile, e lo vide/ trascinato davanti alla Rocca: i cavalli veloci/ lo tiravano senza pietà verso le concave navi degli Achei./ Una notte di tenebra coperse i suoi occhi/ e cadde indietro e quasi spirava la vita”.
Eccola la guerra, così come ci viene raccontata da quasi 3mila anni: “Una notte di tenebra coperse i suoi occhi/ e cadde indietro e quasi spirava la vita”. L’attenzione degli studenti cresce. Si sentono dentro la storia, dentro la letteratura: dentro la realtà tramite la letteratura.
Continuiamo la lettura del poema: Iliade 24, 477-551. Accade l’inaudito, l’imprevisto. Priamo, il re di Troia, si reca alla tenda dell’uccisore del figlio, di tanti suoi figli. “E, standogli accanto/ strinse fra le sue mani i ginocchi di Achille, baciò quella mano/ tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise”. Achille e i compagni sono colti da improvviso stupore. Priamo lo supplica di restituirgli il corpo di Ettore: “Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,/ pensando al padre tuo: ma io sono più misero,/ ho patito quanto nessun altro mortale,/ portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli”. Achille è frastornato e riconosce al vecchio re “un cuore di ferro”. I due piangono insieme, vittima e carnefice, ciascuno per i propri cari. Il perdono irrompe imprevisto e impensabile nell’orizzonte della decennale guerra di Troia. Di fronte alla persona, al suo dolore e alla sua unicità la guerra si ferma. Il poema pure, il cui racconto si interrompe dopo i solenni funerali di Ettore.
Lo stupore dalla tenda di Achille si trasferisce nell’aula. Gli studenti tacciono. Sono le 13:26. Sta per cominciare il Tg1. Ce lo seguiamo in silenzio e poi pranziamo. Dopo pranzo chiedo commenti su quanto ascoltato. Uno studente, timidamente, prende la parola: “Fa impressione, prof, vedere come testi di 3mila anni fa leggano la realtà di oggi e descrivano sensazioni ed emozioni degli uomini che sono le stesse da sempre”. “Vero, rispondo. Ma occorre qualcuno che li interroghi così quei testi. A me lo hanno insegnato i miei maestri. Io, nel mio piccolo, provo a fare lo stesso con voi. A domani”.
Nella scuola devastata dalla burocrazia, dal protrarsi di irragionevoli doppi turni di ingresso, dalla didattica mista e dai disagi continui connessi alla pandemia accade ancora, oggi, l’avventura della conoscenza. Forse si potrebbe pensare, per il dopo-Covid, di ripartire da qui, da questo dialogo mediato tra ieri e oggi che ha nell’aula di scuola il luogo prediletto del suo accadere?
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