“Le lezioni di religione sono state molto interessanti, perché partendo da una semplice parola cominciamo a scoprire il significato di tutto”. Questo è quanto mi ha scritto una ragazza di prima liceo a commento dell’anno scolastico da poco trascorso. Un giudizio che mi ha riempito di gratitudine perché, per l’ennesima volta in questi anni di insegnamento, il Mistero, attraverso questa quattordicenne, mi ha strappato dalla tentazione di soppesare il mio lavoro come una sorta di “partita di giro” contabile per la quale “tanto ho dato, tanto è ritornato” e a riscoprire che nell’insegnamento della religione, accade qualcosa di infinitamente più grande dei miei programmi didattici.
E come sempre il Mistero lo ha fatto semplicemente, con la testimonianza di questa ragazza e della scoperta che la sua ragione ha fatto: ovvero, che tutto ha un significato, un senso che “lega” i “particolari” della vita – l’amicizia, lo studio, la famiglia, lo sport, l’amore, il dolore, persino la morte – di cui le parole sono un segno.
Il rivelarsi di un Mistero che tiene insieme tutto: questo è il cuore dell’esperienza religiosa, in fondo. Certo, la mia giovane amica non sa di aver detto tutto questo con la sua breve frase. Il mio compito, nei prossimi anni, sarà quello di essere leale con la sua fondamentale scoperta e accompagnarla a dare sempre più concretezza culturale e volto a questo “senso del tutto” che ha intuito esserci. In questo semplice commento però, c’è già tutto il seme, già tutta la certezza “d’avere trovato la chiave segreta del mondo” (Guccini).
Ma non sono l’unico che, insegnando questa materia, riceve dai suoi studenti giudizi altrettanto folgoranti. In un bel dialogo di fine anno con altri insegnanti di religione appartenenti alla Bottega di Diesse, un’amica ci riferiva di una sua alunna che la ringraziava per averle fatto scoprire, con le sue lezioni, domande e desideri che neanche pensava di avere, “accendendo un fuoco nel suo cuore”. E poi tanti altri racconti che abbiamo deciso di raccogliere e pubblicare, insieme ad esperienze didattiche e agli atti dei nostri incontri in questi dieci anni.
Dagli amici della Bottega – questa bellissima storia che dimostra come l’insegnamento, soprattutto nella nostra disciplina, non può che essere anche esperienza di comunione – arrivano continue documentazioni di un “mestiere” che, almeno per come abbiamo scoperto di viverlo noi in questi anni, ha poco di accademico e molto di un cammino avventuroso fatto insieme ai ragazzi, alla scoperta del loro io, della loro viva umanità, spesso sofferente, fragile, confusa, smarrita quanto si vuole, ma pronta a farsi destare da chi decide di spendersi per la loro felicità. Un percorso insieme che non è solo comunicazione di una dottrina, che posta come tale non può interessarli, ma che fa dei contenuti della disciplina una provocazione al loro cuore, nella misura in cui l’insegnante stesso se ne lascia provocare per primo.
Tuttavia, questa bellezza di esperienza sembra stridere con la sempre più difficile condizione dell’insegnamento della religione nella scuola italiana. C’è sempre l’impressione che, nella sfera del dibattito scolastico e culturale, in ambito politico come pure in ambienti ecclesiali, si dia quasi per scontato il fatale dissolversi di questa disciplina scolastica. Un dileguarsi lento, a colpi di slogan anacronistici e superficiali (vedi l’ennesima e rozza proposta di abolizione dell’Irc per sostituirla con un’ora di storia delle religioni e una di educazione civica, la mozione Nencini) o di vere e proprie ingiustizie (tipo la scandalosa e infinita dilazione dell’assunzione definitiva di migliaia di IdR precari, già da tempo nella scuola). Per arrivare, infine, alle tante storie di quella ordinaria precarietà ed emarginazione che caratterizza la condizione degli IdR. Siamo passati da una fase storica nella quale la presenza dell’Irc nella scuola si dava per scontata – e non era sicuramente cosa migliore, perché causa di molti equivoci – ad una in cui la sua stessa esistenza non sembra più ragionevole e sensata.
A mio parere, questo essere l’Irc ormai considerata di fatto come un corpo estraneo nel sistema educativo nazionale, rende evidente il cuore della profonda crisi di senso in cui si dibatte tutta la scuola italiana, proprio perché questa sembra aver rinunciato a trasmettere nient’altro che tecno-competenze cognitive, peraltro inevitabilmente indietro e insufficienti rispetto alle incalzanti esigenze del sistema economico e produttivo.
Sembra aver ragione Davide Rondoni nel dire che questa scuola italiana è giunta ormai alla fine, visto che è riuscita nell’intento di eliminare “dai nostri ragazzi quasi ogni elemento di educazione estetica e spirituale.” “Quasi”, però. Rondoni, che è grande poeta, sa bene che su quell’avverbio si può giocare ancora tutto.
C’è nei nostri alunni, come in noi adulti, un “quid” irriducibile ad ogni pretesa, anche quelle del pensiero unico tecnocratico, o del bio-potere, per dirla con Foucault e Benasayag, che ci ha quasi convinti che lo scopo della vita è star bene in salute per funzionare efficacemente nel sistema. Quel “quid” esiste però, non è una nostra ingenua fantasia e le testimonianze cui si accennava all’inizio lo dimostrano. È necessario però fare in fretta, perché il muro del nichilismo si inspessisce attorno al cuore dei giovani, come pure degli adulti, rendendo sempre più difficoltosa la rinascita dell’umano.
Il primo passo è raccogliere veramente la proposta di Papa Francesco a pensare il cambiamento d’epoca come una sfida, cioè una risorsa, e non come un ostacolo, innanzitutto comprendendo cosa vuol dire nella concretezza della nostra esperienza di insegnanti che siamo in un cambiamento di epoca, come questo incide sul nostro modo di far scuola, sulla proposta culturale che facciamo, nel rapporto con gli studenti. Non per un’analisi sociologica distaccata, ma per saper cogliere meglio le occasioni educative che le mutate circostanze ci offrono.
Per questo, anche nella nostra Bottega, abbiamo deciso di prendere sul serio la proposta di Diesse, che quest’anno, per la sua Convention 2019, ha lanciato proprio l’affascinante tema del “far scuola in un cambiamento d’epoca”.