Il giorno di oggi, 7 gennaio, con il previsto e prevedibile caos nella riapertura delle scuole, sarà ricordato nella storia di questo Paese come una vera e propria verifica di governo, a cui sarà il Paese stesso a confermare o a togliere la fiducia. C’è nelle famiglie italiane la piena consapevolezza di quanto è stato o non è stato fatto per i propri figli; di quanto è stato annunciato e promesso e non è stato affatto mantenuto. Delle infinite dichiarazioni fatte dalla ministra dell’Istruzione a mezzo stampa o in interviste televisive su tutti i talk show.



È stridente il contrasto tra le buone intenzioni e le pessime realizzazioni, verificabili nei fatti concreti che, oggi più di ieri, pesano sulle spalle delle famiglie, sia che abbiano figli che frequentano ancora la scuola dell’obbligo, sia che abbiano figli grandi che frequentano la scuola media superiore, licei, istituti tecnici o tecnico-professionali.



La verifica di governo che scatta oggi ad opera di milioni di famiglie italiane verte su tre punti chiave: prima di tutto gli orari; poi i trasporti; e infine le garanzie di sicurezza per la salute dei ragazzi, a cominciare dai test rapidi. In altri termini coinvolge il ministero degli Affari regionali, il ministero dei Trasporti, quello della Salute, quella della Famiglia e ovviamente quello dell’Istruzione. Che ci sia stato un lavoro condiviso tra tutti i ministri e i rispettivi ministeri non risulta a nessuno. E di fatto, ad oggi, non c’è stato nessun miglioramento oggettivo nei trasporti che riguardano gli studenti; né sulle fasce orarie di maggior frequenza, né sulla sanificazione dei mezzi di trasporto; né sulla diversificazione dei mezzi di accesso alla scuola. Fermi in garage i tantissimi pullman privati che, davanti alla paralisi del turismo, avrebbero potuto essere messi in circolazione a un prezzo concordato. Per i diciottenni qualcuno aveva proposto abbonamenti speciali alle piccole biposto che transitano ormai numerose nella città, estensibili ai sedicenni per alcune autovetture più piccole.



Ma poi alla fine non se ne è fatto nulla: meglio i bonus a pioggia che le facilitazioni oggettivamente legate ad un cambio di modelli di lavoro e di trasporto. E i mezzi pubblici, ugualmente affollati nelle ore di punta, circolano senza nessuna sanificazione. In quanto ai test rapidi per circoscrivere velocemente i contagi e ridurre le lunghe pause della quarantena con una scuola a singhiozzo, vale il principio di contraddizione con la sua forza contundente, per cui da un lato la ministra insiste sulla sicurezza delle scuole, ma poi circolano veloci le voci che considerano giovani e giovanissimi molto più esposti al contagio nella variante italo-inglese del Covid-19.

Difficile per i genitori capire se mandare i figli a scuola li espone davvero ad un rischio maggiore e valutare di che natura e portata sia questo rischio. Oggettivamente le informazioni sono state frammentarie soprattutto nell’interfaccia che riguarda i più giovani e, se abitualmente le campagne di vaccinazione cominciano con i piccolissimi, questa strana campagna di vaccinazione segue un itinerario decisamente capovolto e comincia dai più anziani. Avremmo voluto che fossero stati vaccinati subito docenti e studenti, perché è proprio dalla scuola che vorremmo che il Paese ripartisse, dando un messaggio di speranza alle nuove generazioni.

E il messaggio, con forza, sarebbe dovuto arrivare anche ai docenti: siete strategici nel disegno di ripartenza del Paese; la vostra salute ci sta a cuore perché siete voi che avete a cuore la salute, fisica, ma soprattutto intellettuale, emotiva, psicologica dei nostri figli. E il governo si prende cura dei suoi docenti che sono ormai da tempo sull’orlo di un burnout, soprattutto per le incertezze personali, familiari e professionali, in cui vivono giorno per giorno.

La stessa data della riapertura delle scuole è ancora oggi un termine ipotetico; nessuno sa dire con certezza cosa accadrà, dove, come e quando. Il problema dei turni, non solo mattina o pomeriggio, ma anche quelli a cavallo del pranzo, ma senza pranzo. Le lezioni di 45-50 minuti rendono tutt’altro che facile e scontato inserire nello stesso intervallo di tempo spiegazioni su di un programma che è necessariamente da rivedere, dibattito per chiarire, approfondire, e poi interrogazioni, valutazioni di vario genere e tipo…  Difficile in questo contesto anche solo elaborare orari e obiettivi; contenuti e metodologie scolastiche; pressoché impossibile selezionare le linee portanti di un programma educativo coerente con l’età dei ragazzi e con le loro esigenze di socializzazione, di collaborazione e di competizione.

La nostra scuola si trova al centro di una tempesta perfetta in cui l’hanno spinta non solo una serie di circostanze complesse, come la pandemia perdurante, e che forse un anno fa di questi tempi non erano prevedibili. Ma oggi c’erano tutte le condizioni per prevedere e deliberare in modo più efficace il destino di quasi 10 milioni di studenti, a cui potevano e dovevano essere offerte soluzioni ad hoc. Certamente flessibili, ma proprio per questo affidate ad una maggiore creatività programmatica da parte dei docenti.

Dove questo è avvenuto, non è stato per iniziativa del ministro e del ministero, ma come sempre per il coraggio di chi ha saputo rischiare e di saprà ancora rischiare per fare del tempo attuale una risorsa preziosa, da non bruciare nei mille rivoli della burocrazia e del suo passacartismo.

Ed era proprio dall’alleggerimento formale degli adempimenti burocratici che avremmo dovuto sollevare i docenti, liberando risorse ed energie da investire nella parte più significativa del fare scuola grazie alla loro generosa e competente creatività. Ma il ministero ha preferito legare il tema salute al banco monoposto, meglio se con le ruote; il tema trasporti alla chiusura ad oltranza.

Sembra che l’Azzolina abbia preteso delega totale sugli esami di maturità, anche se nessuno sa per farne cosa. Intanto i dirigenti scolastici, con la responsabilità su migliaia di ragazzi, sono in balia di informazioni governative oggettivamente sempre meno chiare.

Viene proprio da pensare che il governo non supererà la prova di fiducia.