Prima di una settimana di ferie, con l’organico di fatto in arrivo, incontro alcuni nuovi docenti e personale Ata che chiedono di presentarsi.

Una buona cosa, guardarsi subito negli occhi. Perché, come è noto, ogni scuola è chiamata a presentare un proprio profilo, un proprio stile (nel Ptof), ma al dunque risulta almeno in parte composta da persone che si incontrano e si incrociano senza alcun filtro, senza una preventiva verifica sulla scelta ipotizzata, senza alcun riscontro sulle effettive capacità relazionali da un lato e tecnico-professionali dall’altro.



A scuola siamo cioè figli del caos primordiale, giustificato dal sacro diritto all’individualismo. Poi, che le combinazioni funzionino, che le squadre – cioè consigli di classe e dipartimenti – possano dirsi pronte, è tutt’altra cosa.

Così, finiscono ogni anno per arrivare docenti e Ata che, per reputazione, hanno fatto la scelta in modo consapevole, ed altri solo perché vicini a casa, ed altri ancora perché (lo posso dire?) è stato fatto loro capire, dai colleghi anzitutto, che la cosa migliore è cambiare aria, visti i risultati.



Dunque, il diritto è riconosciuto solo ai singoli, che siano o meno bravi e capaci non importa, ma quel diritto non viene riconosciuto al sistema-scuola, non ai destinatari, cioè studenti e famiglie, non allo Stato-istituzione, rispetto alla responsabilità sistemica di un servizio pubblico. 

Negli indirizzi sperimentali, fino agli anni novanta si era imposta una sorta di “comando”, per cui un “comitato di valutazione” poteva proporre a docenti titolari in altre scuole un incarico, ma, se i risultati erano deludenti, poteva decidere di rispedire gli stessi docenti alla scuola originaria. Un “comitato di valutazione” eletto, non un preside-sceriffo.



Si dirà che quelle sperimentazioni avevano il valore che avevano, ma la cosa funzionò a lungo, fino alla loro soppressione con Berlinguer, per il compito che si assunse, nel nuovo clima di autonomia della 275/99, di riassumere tutti gli indirizzi e renderli su base ordinamentale.

Che fare, dunque, con quei docenti e Ata la cui fama li precede, oramai abituati a danzare da scuola a scuola?

Se vi è la disponibilità, la scelta di un preside è quella di mettere in classe, al loro posto, un docente potenziato, lasciando a questi altri colleghi la sola coperture delle supplenze.

E se non vi sono docenti potenziati disponibili? Allora, in caso di difficoltà, si sa già che a settembre comincia il calvario.

Un buon colloquio, per tempo, con questi docenti è sempre cosa buona e giusta, anche per rispetto nei loro confronti, con sani consigli perché si preparino al meglio al compito richiesto, suggerendo anche quei colleghi di dipartimento e di consiglio di classe comunque disponibili a supportarli in caso di difficoltà varie.

Resta la questione di fondo: si potrà mai superare lo sfondo assistenzialista del nostro mondo del lavoro? Pur nel rispetto dei diritti personali, chi si oppone alla rassegnazione del declino potrà mai convincere chi è sempre stato legato al passato e restio al cambiamento?

Chi oggi, tra le forze politiche, ha il coraggio di compiere il passo in avanti, nella direzione dell’effettiva centralità dello studente come focus del servizio pubblico scolastico, contro l’immobilismo di chi parla, di chi si limita a parlare, aspettando che le cose succedano?

Ed intanto il preside-ministro Bussetti ha annunciato un concorso riservato non selettivo dei docenti. Un concorso non selettivo? E i nostri giovani in gamba?Con Seneca: “Non possiamo cambiare il vento, ma possiamo dirigere le vele”?