“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca” (José Saramago). Tanti insegnanti avranno letto Il racconto dell’isola sconosciuta di José Saramago, soprattutto perché è stato citato all’inizio del Corso di Formazione “OrientaMenti” per docente tutor e docente orientatore.
È un breve racconto incentrato sulla ricerca della propria identità da parte del protagonista, che chiede al re una barca per poter scoprire una terra non mappata da alcuna carta geografica. La prosa di Saramago configura la metafora di un viaggio che conduce alla scoperta di chi si è realmente e che rende consapevoli di ciò che si è disposti a lasciare: una società che plasma e uniforma a proprio uso e consumo. Ogni uomo è un’isola sconosciuta, finché non prende il mare alla ricerca di se stesso. In tal senso, è significativo che per parlare di orientamento e di didattica orientativa si sia fatto riferimento proprio a questo testo, utile a ricordare che la scuola ha il compito di rafforzare il potere e il controllo del ragazzo sulla vita e soprattutto che al centro dell’azione didattica c’è un soggetto che si sta orientando e che ha la necessità di scoprire il proprio orizzonte di senso nelle discipline che si studiano.
Ultimamente la scuola, sempre più impegnata nello svolgimento dei programmi disciplinari e, soprattutto in questi ultimi giorni, nella promozione dei propri percorsi di studio con l’Open day, sta dimenticando che al centro del suo quotidiano lavoro, delle strategie didattiche, della programmazione e valutazione c’è un processo che è legato al rapporto tra maestro e allievo, volto a facilitare la conoscenza di sé, “la maturazione delle competenze individuali al fine di rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte del futuro”, come recitano le Linee Guida del dicembre 2022, nell’ambito della riforma del sistema di orientamento prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È vero, potrebbe apparire, soprattutto ai docenti con più esperienza e con più anni di servizio, un aspetto ovvio, scontato, ma se il ministero sta richiamando il comparto scuola su questo aspetto un motivo ci sarà!
Il vero problema è che l’aspetto più importante della vita scolastica sta diventando marginale o rimane per lo più legato a pratiche burocratiche da svolgere. Con le 30 ore di didattica orientativa da svolgere nel corso dell’anno scolastico, invece, viene offerta l’opportunità agli insegnanti di riscoprire la scuola come spazio di incontro tra maestri e allievi, in cammino alla scoperta delle proprie inclinazioni; viene data l’occasione di pensare alle aule scolastiche come ambito per un apprendimento permanente della strada da intraprendere nella vita. È un approccio nuovo che presuppone una modifica culturale del fare scuola per valorizzare le esperienze che promuovono il protagonismo degli studenti. In questo modo la scuola diviene un luogo di erranza per trovare la strada; le lezioni e la didattica divengono la bussola per orientarsi nel mare magnum della vita.
Da quest’anno, molte scuole hanno cominciato ad attivare la didattica orientativa come approccio educativo e formativo per sostenere gli studenti, non tanto nella scelta dell’indirizzo futuro da intraprendere, quanto per sviluppare una maggiore consapevolezza critica di sé e delle proprie attitudini e capacità, per stimolare una profonda ricerca della propria identità, per insegnare ciò che non si sa: non lo studio per lo studio, ma la comprensione del senso di quello che si fa. È questo un invito a tornare ad una didattica del “sapere”, secondo l’etimologia latina, che ha a che fare con il gusto di ciò che si apprende perché utile alla vita. Anche nella scuola è indispensabile conoscere il significato e il senso delle cose. Il sapere non è un accumulo nozionistico di argomenti da studiare in vista di una verifica orale o scritta, o per sostenere l’esame di Stato, ma è uno strumento per conoscere di più se stessi. È un invito a tornare allo studio come amore e passione, secondo l’etimo latino. Sicuramente le programmazioni di tanti docenti erano già ricche di didattica orientantiva, che adesso, però, viene richiesto di estendere a tutto il consiglio di classe, di esplicitare e documentare maggiormente per essere messa in atto e per vederne i frutti nella vita degli studenti.
La scuola non è soltanto il luogo in cui imparare un metodo di studio, in cui approfondire determinate conoscenze; è soprattutto l’ambito spazio-temporale di una scoperta di una parte di sé che altrimenti rimarrebbe inesplorata. Se la disciplina non rivela le sue capacità orientative, se non implementa il gusto del vivere e una passione per la realtà; se la disciplina non diviene uno strumento di conoscenza per affrontare a 360 gradi la complessità del reale, ciò che si studia rimane un sapere astratto, la scuola annoia e non assolve al suo compito primario.
“Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra” amava affermare sant’Agostino. Ciò che può rendere felice uno studente, che ogni mattina deve decidere di alzarsi dal letto e sedersi per più di sei ore al proprio banco, è scoprire che ogni giorno lo attenderà un luogo in cui adulti responsabili ci tengono al suo destino, in cui il suo giovane cuore è ridestato perché sente parlare di qualcosa che lo riguarda, che gli corrisponde. I nostri ragazzi sono affamati di senso; non vedono l’ora di incontrare persone all’altezza dei loro desideri; hanno la necessità di drizzare le proprie vele verso mete confortanti; hanno bisogno di orientarsi, in un mondo sempre più confuso.
In questi giorni, in cui le scuole aprono le proprie porte ai genitori per lo svolgimento dell’Open day, in questi mesi in cui si svilupperà la didattica orientativa, è opportuno ricordarsi dei ragazzi e delle loro reali esigenze, perché possano rendersi conto che il futuro inizia nelle aule scolastiche e che nella scuola è possibile intraprendere il cammino per diventare cittadini consapevoli del presente e del futuro.
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