Dall’11 ottobre 2023 è attiva e operativa la nuova piattaforma istituita dal ministero dell’Istruzione e del Merito: Unica. Valditara la definisce “Importante strumento che risponde a bisogni concreti di famiglie e studenti: una tappa fondamentale del nostro impegno nell’offrire un’istruzione più accessibile, efficiente e orientata al futuro. Un uso efficace delle nuove tecnologie per semplificare la vita di tanti cittadini”. È facile essere favorevoli e concordi.



Dall’11 ottobre 2023 ogni docente deve compilare un modulo di progettazione che preveda almeno 30 ore per ciascuna classe di attività di “orientamento” o “anche di orientamento”: laboratori di interazione diretta o mediata tra alunni della primaria e della secondaria, esperienze di peer tutoring, unità didattiche di apprendimento (Uda) relative alla conoscenza del sé, delle proprie emozioni e dei propri talenti, lavori di autovalutazione e di autocontrollo che favoriscano la motivazione allo studio.



La questione che mi pongo è duplice.

La prima, che reputo la più fondamentale in termini di senso, inteso in entrambi i suoi significati, è: qual è il ruolo principale della scuola? Qual è la sua vocazione primaria? A cosa serve la scuola?

Sempre nel sito del ministero si trovano i documenti con indicati gli orizzonti verso cui tende oggi la scuola italiana. Il cappello introduttivo delle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” parlano di centralità della persona, cittadinanza consapevole e attiva, acquisizione di strumenti di pensiero, nuovo umanesimo che sappia affrontare tematiche complesse e interconnesse. Addirittura traccia un profilo dello studente al termine di questo primo ciclo, in termini di autoconsapevolezza personale, emotiva, relazionale, artistica, scientifica. È un incipit di ampio respiro che mette al centro la persona a tutto tondo.



Quindi il ruolo della scuola è anche quello di educare alla cittadinanza attiva, alla partecipazione e alla socialità.

La seconda domanda che mi pongo, allora, è: come mai molte scuole italiane, in questo periodo dell’anno, stanno interagendo anche con il mondo lavorativo? In molte, infatti, un passaggio più o meno esplicito e/o silente è quello di incontrare realtà lavorative del territorio per contribuire ad aiutare i nostri alunni nella loro scelta della scuola dell’ordine successivo. Nelle Indicazioni nazionali, però, si parla di acquisire competenze trasversali “nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno”, non di lavoro (27 volte compare tale parola, ma non viene usata con questa accezione se non per fornire esempi).

Questo davvero ha a che fare con il reale e primario senso che ha la scuola? Serve a formare solo futuri lavoratori, “istruzione efficiente”, o cittadini pensanti che scoprano la loro originaria e originale persona? Vogliamo creare dei tecnocrati o dei cittadini? Forse non si sta correndo il rischio di creare uno scollamento e un distacco tra lo sviluppo tecnologico e quello morale della persona?

In seguito a ciò, mi riaggancio alle (almeno) 30 ore di attività orientative che questa nuova piattaforma prevede di dovere inserire. È davvero necessario che un docente che abbia ben chiaro l’orizzonte verso cui sta conducendo le proprie classi, proprio perché ha letto e studiato le Indicazioni nazionali di riferimento, consapevole che sta quotidianamente fornendo strumenti sempre più personalizzati di ogni tipo e forma ai suoi alunni, debba compilare una tabella in cui dichiara ciò? Una tabella, ve lo assicuro, non basterebbe perché ogni lavoro, ogni feedback, ogni dibattito, ogni lavoro di gruppo, di autovalutazione, ogni lettura, è orientante, se guidata. Com’è possibile ridurre a una compilazione su una piattaforma un lavoro costante, quotidiano, relazionale, personalizzato?

Forse, anche in questo si sta perdendo di vista il focus. La scuola che fa “semplicemente” la scuola è una questione seria e profonda e il suo ruolo era chiaro. Questo la rendeva semplice da capire, da riconoscere, da apprezzare e da rispettare. Di questo c’è bisogno, non di molto altro. Semplice.

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